Ecuador: ricordati in un convegno i trent’anni della morte di mons. Proaño, il vescovo che “visse il Vangelo dalla parte degli indigeni”

Si è concluso sabato scorso all’Universidad Andina Simón Bolivar di Quito, capitale dell’Ecuador, il convegno dedicato al trentesimo anniversario della morte di mons. Leonidas Proaño, vescovo di Riobamba e vero e proprio pioniere della pastorale indigena. All’appuntamento hanno preso parte oltre cento delegati indigeni provenienti da Ecuador, Argentina, Bolivia, Repubblica Dominicana, Messico, Brasile, Colombia, Nuova Zelanda, Canada e Stati Uniti. Al convegno ha partecipato tra gli altri mons. Eugenio Arellano, vicario apostolico di Esmeraldas e presidente della Conferenza episcopale ecuadoriana. “Non possiamo credere nella Chiesa, se non dà testimonianza di semplicità e povertà, così come visse mons. Proaño”, ha detto mons. Arellano, che ha esortato la Chiesa ecuadoriana a essere una Chiesa povera tra i poveri e a promuovere un rilancio della comunità ecclesiali di base.
Nidia Arrobo Rodas, rappresentante della fondazione Pueblo Indio e amica del vescovo di Riobamba, ha tracciato un profilo spirituale di mons. Proaño, articolato in sei punti: la fedeltà alle origini, l’insegnare apprendendo, il saper ascoltare, il rispetto per l’altro, l’attenzione all’attualità e il restituire la dignità. Ha detto Nidia Arrobo: “Credo che un importante apporto al processo di insegnamento e apprendimento dell’opera pedagogica di mons. Proaño sia il principio dell’ essere povero e farsi povero. Era sempre fedele alle proprie origini, che continuamente ricordava, e gli permetteva di essere completamente accettato dai poveri e dagli indigeni”. Ha proseguito la relatrice: “Il vescovo fu un grande maestro, però a sua volta un alunno eccellente, insegnava apprendendo. Non dimostrava ciò che sapeva. Quando gli dicevano che era il maestro, ripeteva le parole di Gesù: ‘Io non sono il maestro, solo Dio è il Maestro’. Per mons. Proaño era importante mantenere questa relazione di eguaglianza con gli indigeni, non gli interessava creare distanze tra chi sapeva e chi no, e neanche barriere”.
Ma mons. Proaño fu soprattutto il vescovo che diede dignità ai popoli nativi: “In quella epoca gli indigeni erano considerati come oggetti, come animali da soma che erano inclusi nel prezzo delle fattorie come gli animali e i mobili. In questo contesto feudale dell’Ecuador, specialmente nel Chimborazo, dove c’erano situazioni di schiavitù nei confronti degli indigeni, monsignor Proaño iniziò un lavoro significativo e allo stesso tempo faticoso e lento per riscattare la dignità degli indigeni, affinché si sentissero persone, che conoscessero e riconoscessero i loro diritti, sia individuali che collettivi”. Egli si preoccupò di “vivere il Vangelo dalla parte degli indigeni”. Un lavoro che ora continua con le attività delle organizzazioni indigene come la Conaie (Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador) e la pastorale india dell’America Latina. Il suo messaggio è attualissimo e risuonò anche cinquant’anni da alla Conferenza dell’episcopato latinoamericano di Medellín”, sottolinea Cristiano Morsolin, esperto diritti umani in America Latina.

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