“Le leggi razziali fasciste non sono soltanto una dolorosa memoria storica, sono una costante minaccia che può riproporsi in altre forme”. Lo dice la senatrice a vita Liliana Segre in un’intervista pubblicata dal numero di agosto-settembre di Vita Pastorale, anticipato al Sir. “Avverto su di me l’enorme compito e la grave responsabilità di tentare, pur con tutti i miei limiti, di portare nel Senato della Repubblica, voci ormai lontane, che rischiano di perdersi nell’oblio”, aggiunge Segre. Il riferimento è a “quelle di migliaia d’italiani, della piccola minoranza ebraica, che nel 1938 subirono l’umiliazione di essere degradati dalla patria che amavano; e che furono espulsi dalle scuole, dalle professioni, dalla società dei cittadini ‘di serie A’”. Segre è consapevole del fatto che “la mia nomina non è una benemerenza, come tante altre che ho ricevuto”, ma è “una investitura vera e propria, che va al di là della mia persona”. Guardando all’attuale situazione dell’accoglienza dei migranti, la senatrice afferma che “il silenzio delle frontiere chiuse è tremendo, è un silenzio assordante in cui giocano l’indifferenza, l’egoismo, i calcoli economici”. Il suo sguardo è rivolto all’Europa, che “deve mettere le carte in tavola per trovare soluzioni urgenti, non più rinviabili”. Riferendosi alle “tante situazioni difficili, spesso drammatiche di oggi, frutto di un’indifferenza che è diventata un ‘credo’”, sostiene che a molti importi “soltanto il dio denaro, che ha svuotato le coscienze”. Segre rivendica, inoltre, di aver lanciato “un progetto di legge per contrastare l’hate speech,(discorso sull’odio)”. “Oggi l’odio è divenuto una specie di pandemia che ha raggiunto livelli incredibili”.