Pastorale: mons. Boccardo (Ceu), “siamo chiamati ad uscire con quel percorso di conversione che ci rende capaci di raccontare a tutti la gioia del Vangelo”

(da Assisi) “Tutti siamo chiamati ad uscire, ma a farlo così come Gesù ci suggerisce: con quel percorso di conversione interiore che ci rende capaci di raccontare a tutti la gioia del Vangelo”. Lo ha affermato questa sera mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente dalla Conferenza episcopale umbra (Ceu), nell’omelia pronunciata durante la celebrazione eucaristica che ha presieduto ad Assisi al termine della seconda giornata della 68ª Settimana di aggiornamento pastorale promossa dal Centro di orientamento pastorale sul tema “Giovani per una ‘Chiesa in uscita’”. Commentando il brano evangelico odierno, l’arcivescovo ha indicato tre regole per una “Chiesa in uscita” che “servono per la pastorale giovanile, la catechesi e l’evangelizzazione, e, più in generale, per la vita del cristiano”. La prima è dettata dal “non date le cose sante ai cani e non gettate le perle ai porci”. Una frase che “ci mette un po’ a disagio perché così cruda” ma che indica “la delicatezza di Dio e il rispetto che ha verso la nostra libertà, per cui Lui non si impone ma si propone”. Per mons. Boccardo, è “un atteggiamento che siamo chiamati a ripetere, a reinterpretare, a rendere attuale anche nel nostro percorso di vita cristiana e apostolica”. Una seconda regola è “fai agli altri quello che vorresti gli altri facessero a te”. “Noi siamo sempre in attesa, a volte pretendiamo l’ascolto, l’accoglienza, la compassione, la consolazione, la condivisione. E Gesù ci spiazza, dicendoci: ‘non aspettare che lo facciano gli altri, comincia tu per primo. Senza misurare la verità e l’intensità del tuo impegno su quanto potresti avere in cambio oppure su quanto hai già ricevuto, fallo con la caratteristica della gratuità’”. “Facendo dei gesti di gratuità e generosità – ha aggiunto – immetti nel tessuto sociale quell’anti-veleno che permette di rendere la vita vivibile”. Infine, rispetto all’“entrate dalla porta stretta perché è quella che conduce alla vita”, l’arcivescovo ha notato che “per uscire bisogna passare dalla porta stretta, dal percorso della conversione”. “La nostra prima preoccupazione – ha ammonito – è sempre quella di definire e calcolare quanti sono quelli che passano dalla porta stretta e non ci preoccupiamo abbastanza di capire se noi sappiamo attraversare questa porta. Sapendo che tutte le volte che ho voluto passare dalla porta larga alla fine ci sono passato da solo perché ero concentrato sul mio mondo, sul mio egoismo, sul mio successo, sulla mia affermazione. Mentre tutte le volte che sono riuscito a passare dalla porta stretta – che è l’unica che garantisce fecondità perché porta alla vita e che tutti i giorni dobbiamo attraversare – mi sono dovuto fare più piccolo, ho dovuto liberarmi da tanti pesi non necessari. Ma attraversando quella porta trovo la pienezza”.

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