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Nave Aquarius: mons. Hernandez (Valencia), “vicenda significativa, a livello europeo non si sa gestire migrazione”

Mons. Olbier Hernandez Carbonell, delegato episcopale per le migrazioni, arcidiocesi di Valencia (foto: A.Saiz)

(da Valencia) – “La vicenda dell’Aquarius è significativa della situazione che stiamo vivendo a livello internazionale. La migrazione è un fenomeno complesso e complicato che non sappiamo affrontare a livello europeo”. A parlare al Sir è mons. Olbier Hernandez Carbonell, delegato episcopale per le migrazioni della diocesi di Valencia. “Siccome ci sono maggiori controlli su Grecia e Italia la rotta ora è deviata verso la Spagna: arrivano sulla costa valenziana, alicantina, nella Mursia. Vogliono quasi tutti spostarsi verso altri Paesi europei. Molti passano per Valencia”. La sua analisi è precisa e controcorrente: “E’ un segno negativo che la nave Aquarius non sia stata fatta sbarcare in Italia – afferma – ma non è nemmeno positivo che siano stati accolti dalla Spagna solo temporaneamente, perché non sappiamo quale sarà il trattamento: in che programmi li inseriremo? Il tema non è se li accoglieremo o meno in maniera puntuale, ma a quale scopo? Cosa accadrà a queste persone tra sei mesi o un anno? Dove vivranno? Sulla strada o in programmi di integrazione già strutturati? Questa è una sfida globale”. Parlando dell’Italia mons. Hernandez Carbonell sa che il ministro dell’Interno italiano minaccia di chiudere definitivamente l’accesso ai porti alle navi delle Ong e si chiede: “Qual è la differenza tra una nave delle Ong e una della Marina militare? Nessuna. Perché se le persone sono messe in mare dai trafficanti non fa differenza chi li salva. È gente disperata. Il problema è all’origine”. A suo avviso “le navi delle Ong sono necessarie, perché se non si è presenti nella zona Sar (Search & rescue, la zona di ricerca e soccorso) ci sarebbero più morti in mare. Le Ong sono parte della società civile e non sono lo Stato. È buono che ci sia la società civile in mezzo ad una crisi. Altrimenti si convertirebbe in una dittatura”. Certo, ammette, “non rispondendo a padroni o a politiche concrete ma solo a fini solidali e umanitari avere dei testimoni in prima linea può costituire un rischio per i governi. Ma la priorità sono le persone da salvare. Da qui deve partire la riflessione per poi valutare la capacità del Paese, le risorse a disposizione. Dobbiamo cambiare i meccanismi e le politiche ma prima di tutto bisogna salvare le vite”.

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