Scontri a Parigi: mons. Feillet (vescovi francesi), no alle violenze. “Bisogna mettersi tutti attorno ad un tavolo e parlare”

Foto AFP/SIR

“Bisogna accettare il fatto di darsi maggiore tempo di quello che invece si vorrebbe. È questo quello che la Chiesa chiede e dice: è vero che i problemi sono importanti e gravi, ma non si può sopprimere la discussione con il pretesto dell’urgenza. L’accettazione e la promozione di una buona riforma richiedono anche il tempo della discussione”. È un appello alla pace sociale quello lanciato dalla Chiesa cattolica di Francia all’indomani delle manifestazioni a Parigi del 1° maggio. Raggiunto telefonicamente dal Sir, mons. Bruno Feillet, vescovo ausiliare di Reims e presidente del Consiglio episcopale per la famiglia e la società, condanna le violenze che si sono viste ieri a Parigi durante le manifestazioni e i cortei organizzati dai sindacati per la “festa” dei lavoratori. “La Francia è un Paese democratico”, dice il vescovo. “Dunque ci si può sempre esprimere in maniera democratica. Voler utilizzare gli strumenti della violenza e di una violenza mascherata, ci dice che questi gruppuscoli di persone vogliono imporre modi di vivere e di lottare che sono al di fuori delle regole della società”. Il vescovo fa notare come questi gruppi sono una esigua minoranza e che a Parigi, per gli scontri ai cortei del 1° maggio, sono arrivati anche da altre parti dell’Europa. “Sanno perfettamente che percorrendo la via della violenza, non vinceranno mai. Il quadro che abbiamo visto è desolante. La distruzione di beni non ha mai fatto avanzare una causa”. “Sulla pertinenza delle rivendicazioni, e sulla maniera di esprimerle, occorre mettere della misura”, aggiunge quindi mons. Feillet. “Si può comprendere la preoccupazione per l’avvenire ma bisogna trovare vie per risolvere i problemi. La Chiesa non ha suggerimenti precisi da dare. Osserva e segue la situazione nella ricerca come tutti di trovare soluzioni per migliorare la situazione”.  Mons. Feillet parla di uno stallo tra il governo e i sindacati. “Il governo propone di discutere, ma i sindacati chiedono di negoziare. È qui che le due parti non si comprendono. E da qui che viene il conflitto. Il governo chiede di discutere ma da l’impressione di voler solo informare su quello che verrà messo in atto e sulle modalità con cui le riforme verranno realizzate, mentre i sindacati su queste proposte vorrebbero un margine di negoziazione”.

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