Libia: Msf, “nelle prigioni clandestine torture in aumento, bloccare o riportare le persone genera sofferenza”

Se migliorano le condizioni di vita nelle carceri “ufficiali” in Libia, dove sono rimaste tra le 4.000 e le 5.000 persone dopo i rimpatri “volontari”, continuano gli abusi e le violenze nelle prigioni clandestine. Lo denuncia oggi Medici senza frontiere, che assiste le persone che riescono a fuggire dalle prigioni clandestine: “I migranti che incontriamo hanno le gambe rotte in diversi punti, bruciature e riportano ferite da percosse”.  Christophe Biteau, capomissione di Msf in Libia spiega che “ci sono più di 50.000 persone, registrate dall’Unhcr, principalmente originarie della Siria, bloccate nel Paese. Ma ci sono molti altri rifugiati e richiedenti asilo invisibili, che vengono rapiti, rinchiusi e a volte persino uccisi. È difficile stimarne il numero ma, secondo alcuni osservatori, il numero dei migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Libia arriverebbe a 700.000”. Le persone intercettate in mare dalla Guardia costiera libica, racconta Biteau, vengono sbarcate sulla costa “e portate nei centri di detenzione. I team di Unhcr e Iom si sono suddivisi i 12 siti di sbarco cui hanno accesso e lì conducono delle consultazioni mediche”. “Non esiste una disposizione specifica per i più vulnerabili che, a questo punto, dovrebbero ricevere un trattamento particolare e non essere soggetti a detenzione arbitraria, che mette a repentaglio ancora di più la loro salute – precisa -. Ancora ci sono bambini piccoli che dalle barche intercettate in mare sono portati nei centri di detenzione. Va anche detto che la distinzione tra reti ufficiali e clandestine non è sempre così chiara. Tutto può succedere. Qualcuno che è tornato dal mare in Libia può fin troppo presto finire di nuovo nelle mani dei trafficanti di esseri umani e il circolo può ricominciare da capo”. Ma per molte persone, sottolinea, “essere rimandati nel Paese di origine non è una possibilità e le reti criminali sono la loro unica alternativa per trovare rifugio e una vita migliore in Europa”. “Perché gli eritrei – il 90% delle cui richieste di asilo sono accettate in Europa – sono obbligati a intraprendere viaggi così pericolosi e faticosi?”, si chiede Biteau: “Fare di tutto per bloccare o riportare in Libia le persone che cercano di fuggire, genera ancora più sofferenza”.

 

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