Siria: giornalisti ed esperti tecnologie informazione, “in questo conflitto la verità di una notizia dipende dall’affettività”

“Nel conflitto siriano assistiamo a un cambio di paradigma. Le fake news nel contesto siriano non hanno un senso. Il vero e il falso non sono valori adatti a leggere quella realtà. Il valore che dà la verità a una notizia è l’affettività e gli algoritmi lavorano su ranking affettivi”. Lo ha detto Donatella Della Ratta, docente di comunicazione ed esperta di mass media arabi nella John Cabot University, intervenendo alla conferenza “Guerra: in Siria e in altri Paesi si combatte anche con le immagini”, organizzata questo pomeriggio a Roma dall’agenzia Dire. “Oggi bisogna interrogare anche la parte tecnologica per capire il conflitto”, ha osservato. E lo ha confermato Jean Pierre Darnis, responsabile del programma Tech-Rel all’Istituto Affari Internazionali (Iai), secondo cui “nella digitalizzazione dell’informazione bisogna operare una dialettica digitale”. “L’uso delle tecnologie dell’informazione da parte di un regime può essere ancora più totalitario con conseguenze anche su altri Stat”. Renato Gabriele, esperto di IT e fondatore di Observatory of online harassment and media manipulation (Oohmm), ha ribadito come la verità abbia un nuovo nemico da affrontare: “la propaganda computazionale”, che “gioca sull’induzione a trarre conclusioni”. “Non costa molto. Bastano 100 tweet al momento giusto. Si convincono le persone a credere a una notizia verosimile, ma chi lavora sui dati non può credere a niente”. Gli attori che creano fake news sono presenti e “rilanciano notizie per fare propaganda contemporaneamente in diversi Paesi”. E lo fanno anche “creando artificialmente video, foto e audio con software sofisticati”. Una spia per individuare la veridicità dei contenuti è chi li diffonde. “Bisogna distinguere le tipologie di utenti che diffondono certe informazioni, dettando l’agenda”. Lo conferma anche il giornalista Fouad Roueiha: “La verità di una notizia dipende dagli opinion leader, da chi la ripropone. Spesso non sono professionisti dell’informazione”.

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