“Solo una cultura dell’accompagnamento può contrastare il narcisismo individualista che sta sempre più indebolendo, anzi corrompendo, il tessuto relazionale delle nostre società. In tale prospettiva le cure palliative – per lo stile di coinvolgimento che realizzano attorno al malato con medici delle diverse discipline, familiari e amici – mentre compiono un’alta opera umanitaria, contribuiscono anche a ricostruire quella cultura solidaristica che rende umano questo nostro mondo”. Lo ha ribadito mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita (Pav), intervenendo ieri a Prato nell’ambito del master in “Accompagnamento spirituale nella malattia e nel morire”, curato dall’associazione “TuttoèVitaonlus” in collaborazione con l’Università di Padova e la Federazione cure palliative onlus.
Dopo aver rilevato che è “facile”, in situazioni gravi, che “i malati e i morenti subiscano le tragiche conseguenze di quella ‘cultura dello scarto’ che Papa Francesco non cessa di denunciare”, mons. Paglia ha evidenziato che “l’unica alternativa al prevalere della ‘cultura dello scarto’ è promuovere una cultura dell’accompagnamento”. Si tratta di “aiutare a vivere umanamente anche il tempo della malattia e della stessa morte, senza perdere l’amore che lotta contro il suo avvilimento”, ha aggiunto, spiegando che questo si chiama “prossimità responsabile” ed è un compito “al quale tutti, come essere umani, siamo chiamati”. Per questo, il malato “non va mai abbandonato. Mai. È necessario stargli vicino e accompagnarlo fino alla fine. E quando tutte le risorse del ‘fare’ appaiono esaurite, proprio allora emerge l’aspetto più importante nelle relazioni umane che è quello dell’‘essere’: essere presenti, essere vicini, essere accoglienti”. “Questo – ha ammonito – richiede anche la condivisione dell’impotenza di chi giunge al termine della vita. Se c’è la compagnia anche il limite cambia significato”. “Il malato inguaribile – ha sottolineato – non è mai incurabile”.