Alfie Evans: Centro studi Livatino, “oggi l’accanimento non è terapeutico, ma per la morte”

“Alfie Evans, grave disabile di 23 mesi, ha raccontato oltre ogni dubbio che oggi il criterio decisivo nei confronti di chi soffre non è più nemmeno l’autonomia o l’autodeterminazione, bensì la convenienza sanitaria e sociale di sopprimere una vita qualificata come inutile”, così il Centro Studi Rosario Livatino, formato da magistrati, docenti universitari e avvocati, commentando in una nota la morte del bimbo inglese. Pur senza parole, spiegano dal Livatino, “Alfie ha mostrato che il vero accanimento oggi esistente non è quello c.d. terapeutico, ma è quello per la morte, che passa per le aule di giustizia di ordinamenti formalmente democratici”.

Così, “il dibattito non è fra chi ha pietà e chi non ne ha: il dibattito è fra chi lascia l’individuo solo nelle mani dello Stato e chi sa che per vivere è necessaria la speranza, specie nelle prove, come hanno testimoniato i suoi genitori”.

Il Centro studi mette in guardia: “Non è un problema solo inglese: non trascuriamo che in Italia la legge 219/2017 riconosce, ai fini della permanenza in vita, ‘disposizioni’ date ‘ora per allora’, qualifica cibo e acqua come trattamenti sanitari, se somministrati per via artificiale, contiene norme pericolose per i minori e per gli incapaci, nega l’obiezione di coscienza ai medici e obbliga anche le strutture non statali”, come “già affermato dalla giurisprudenza nel caso Englaro”.

“Né lo Stato né i giudici né la legge – conclude il Centro Livatino – danno la speranza: possono però oltraggiarla e schiacciarla, come è accaduto da ultimo a Liverpool. Il piccolo Alfie sollecita tutti a impedire che ciò avvenga”.

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