Terremoto Marche: la testimonianza di don Candido Pelosi, da 57 anni parroco a Val Sant’Angelo di Pieve Torina

Don Candido Pelosi

“E adesso, come cambierà la mia vita?”. Mentre la terra, ogni giorno, non smette di muoversi con il suo ritmo imprevedibile ma temerario, don Candido Pelosi non perde la sua calma e sceglie con cura ogni parola. Da ben 57 anni è parroco a Val Sant’Angelo di Pieve Torina, nel cuore di quell’epicentro che, in queste ultime settimane, rende l’entroterra del Maceratese il triste scenario mediatico di un terremoto che pare infinito. A lui, sacerdote ottantenne dallo spirito creativo e l’indole sensibile, più che quelle inferte sui muri, stanno a cuore le crepe degli animi della sua gente “sfinita dalle continue scosse che scoraggiano e impediscono di vivere una serena normalità”. Il suo pensiero è schietto – “Occorre ripartire dall’umano, prima ancora che dalle macerie, perché ad essere disgregati sono i valori” – e le sue parole sono lo specchio limpido della sua personalità votata alla prossimità. Dopo gli studi a Roma, don Candido, nativo di una frazione di Camerino, ha trovato la sua “seconda patria” qui, tra le montagne. Un ministero convinto e impegnato il suo, che nemmeno il terremoto del 1997 ha potuto arrestare. La sua casa ha retto anche dopo la violenza tellurica dell’ottobre 2016, ma la paura all’alba del 10 aprile ha bussato ancora, con sorpresa, alla porta, spiazzando il parroco e i suoi fedeli. “Sapevamo che lo sciame sismico sarebbe continuato – racconta -, ma non ci aspettavamo questa potente scossa che, inevitabilmente, ci destabilizza, ponendo tutti di fronte ad un’ulteriore riflessione sul nostro futuro, sul senso di essere comunità”. Così, da sacerdote vicino alla popolazione sfiancata dallo stress psicologico, sebbene “con il cuore ferito” don Candido non ha potuto fare a meno di domandarsi “come poter risorgere come comunità”. La risposta è stata tanto immediata quanto impegnativa. “Ho compreso che in un abbraccio, in un sorriso, in una parola gentile avremmo potuto trovare lo stimolo per sopravvivere. Tutti possiamo diventare consolatori”, confida don Pelosi. Ad ogni scossa l’incubo ricomincia da capo, eppure la speranza cristiana non può venir meno: questo è il messaggio che il religioso rivolge ai suoi parrocchiani, esortandoli a non abbandonare i propri luoghi natii. “Il lavoro è la priorità, le famiglie si trasferiscono, quindi lo spopolamento rischia di rendere questa terra selvaggia e abbandonata. È in questo frangente – prosegue – che noi parroci dobbiamo testimoniare segnali di incoraggiamento, tentando di riprendere in mano, prima o poi, la quotidianità che ci apparteneva prima che la fiducia si inaridisca”. Don Pelosi si affida infine “alla responsabilità delle forze politiche” per la ricostruzione. Con un invito sincero: “Venite a visitare questo angolo di mondo. Dateci una mano a far scoprire il bello di questi posti. Il cammino sarà lungo ma, dopo la notte, spunterà nuovamente l’alba della rinascita”.

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