Papa Francesco: ai Missionari della Misericordia, “non vanificare la grazia di Dio. A volte il sacerdote, invece di avvicinare il penitente, lo allontana”

(Foto Vatican Media/SIR)

“Quanti sono collaboratori di Dio e amministratori della sua misericordia devono prestare attenzione a non vanificare la grazia di Dio”. Lo ha detto, questa mattina, Papa Francesco, incontrando nel Palazzo apostolico gli oltre 550 Missionari della Misericordia. Nelle sue parole un “ammonimento” che emerge dalla seconda lettera di san Paolo ai Corinzi: “Riconoscere l’agire della grazia e il suo primato nella vita nostra e delle persone”. Per esprimere “la dinamica del primo atto con il quale Dio ci viene incontro”, il Papa ha citato un neologismo che gli sta a cuore: “Primerear”. Poi ha ricordato che “la riconciliazione non è, come spesso si pensa, una nostra iniziativa privata o il frutto del nostro impegno”. Perché “se così fosse, cadremmo in quella forma di neo-pelagianesimo che tende a sopravvalutare l’uomo e i suoi progetti, dimenticando che il Salvatore è Dio e non noi”, ha aggiunto citando ancora una volta l’eresia già segnalata nella lettera “Placuit Deo” e nell’esortazione apostolica “Gaudete et Exsultate”. “Dobbiamo ribadire sempre, ma soprattutto riguardo al sacramento della Riconciliazione, che la prima iniziativa è del Signore; è Lui che ci precede nell’amore, ma non in forma universale: caso per caso – ha aggiunto -. In ogni caso Lui precede, con ogni persona”. Il compito del sacerdote, a questo punto, “consiste nel non rendere vana l’azione della grazia di Dio, ma sostenerla e permettere che giunga a compimento”. “A volte, purtroppo, può capitare che il sacerdote, con il suo comportamento, invece di avvicinare il penitente lo allontani”. L’esempio citato da Francesco si verifica quando “per difendere l’integrità dell’ideale evangelico si trascurano i passi che una persona sta facendo giorno dopo giorno”. “Non è così che si alimenta la grazia di Dio – ha ammonito il Papa -. Riconoscere il pentimento del peccatore equivale ad accoglierlo a braccia spalancate; significa non fargli terminare neppure le parole che aveva preparato per scusarsi – ha aggiunto ricordando la parabola del figliol prodigo -, perché il confessore ha già compreso ogni cosa, forte della sua esperienza di essere lui pure un peccatore”. “Non c’è bisogno di far provare vergogna a chi ha già riconosciuto il suo peccato e sa di avere sbagliato; non è necessario inquisire, là dove la grazia del Padre è già intervenuta; non è permesso violare lo spazio sacro di una persona nel suo relazionarsi con Dio”. Infine, il Papa ha portato un esempio dalla Curia romana: è il caso di un cardinale, prefetto di una Congregazione, che “ha l’abitudine di andare a confessare a Santo Spirito in Sassia due, tre volte alla settimana”. “Un giorno, spiegando, disse: ‘Quando mi accorgo che una persona incomincia a fare fatica nel dire, e io ho compreso di che cosa si tratta, dico: ‘Ho capito. Vai avanti’. E quella persona ‘respira’. È un bel consiglio”. “Parliamo tanto male della Curia romana, ma qui dentro ci sono dei santi”.

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