Pasqua: mons. Caiazzo (Matera-Irsina), “uscire dalle tombe della rassegnazione, del tradizionalismo e dell’indifferenza”

“Gesù Cristo, il Risorto, ci chiede di uscire dalle tombe del fatalismo, del tradizionalismo, della rassegnazione, del buonismo, del ‘si è sempre fatto così’, dell’indifferenza, del pessimismo, del piangersi addosso. Celebrare la Pasqua del Signore significa celebrare l’uomo redento, capace di riemergere dalle sabbie mobili che inghiottiscono la dignità, umiliandola e soffocandola. Significa avere la capacità di sentire il grido d’aiuto ‘silenzioso’ di quanti non hanno più voce, capace di lottare e combattere per i diritti umani violati e calpestati”. Lo scrive l’arcivescovo di Matera-Irsina, mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, nel suo messaggio per la Pasqua. Il presule chiede ai fedeli di “spegnere la tentazione che la Pasqua significhi cercare e trovare consolazioni in processioni, incensi e devozioni”. “Non è così che attiriamo lo sguardo di Dio su di noi – aggiunge -. Né tantomeno escludendo dalla nostra vita i fratelli di sangue per motivi di interesse, di eredità, lontani, i ‘diversi’ perché di altro colore. Non è così che celebriamo la Pasqua dei cristiani”. Celebrare la Pasqua significa, invece, che “tutti noi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, laici, spogliandoci di tutto ciò che rappresentiamo, invadiamo le case, le strade, i luoghi dimenticati da tutti, portando ovunque la luce radiosa del Risorto”. “Annunciare che Cristo è Risorto significa – sottolinea l’arcivescovo – condividere, servire, l’umanità sofferente nel corpo e nello spirito, aiutandola a risollevarsi dalle tante cadute, dalle ingiustizie subite, dalle umiliazioni patite, dall’indifferenza che l’hanno trasformata in uno ‘scarto’ da emarginare”. Dal presule un invito legato al percorso sinodale diocesano, “alla luce del mistero pasquale”, che “vuol dire mettersi in ascolto reciproco, senza paura di confrontarsi, di essere giudicati e criticati”. A mons. Caiazzo preoccupa “l’incapacità di dialogare” “in ogni contesto: nelle famiglie, in primis, nella politica, nel mondo del lavoro e dell’istruzione, nella Chiesa stessa”. “Si grida, si accusa, si denigra – conclude -. Spesso assistiamo increduli, ma anche totalmente indifferenti allo sgretolarsi di una società che perde il gusto di essere umana, vera, autentica, trasparente; incapace di soffrire e offrire, di gioire ed esultare. Si avverte il bisogno di comunione, di spirito di corresponsabilità”.

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