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Francia: Stati generali sulla bioetica. Dichiarazione dei vescovi, “Fine vita: sì all’urgenza della fraternità”

“Fine vita: sì all’urgenza della fraternità”. S’intitola così una Dichiarazione sottoscritta dai 118 vescovi di Francia che è stata diffusa oggi da Lourdes, dove è in corso l’Assemblea plenaria. L’episcopato prende la parola sulla questione del fine vita che è stata oggetto di una legge soprannominata Claeys-Leonetti ed entrata in vigore due anni fa, il 2 febbraio 2016. La legge afferma il principio secondo cui “tutti hanno diritto a un fine vita dignitoso e sereno” ed invita gli operatori sanitari a utilizzare “tutti i mezzi a loro disposizione per garantire che questo diritto sia rispettato”. Tra le misure, figurano l’introduzione del diritto alla “sedazione profonda e continua” per i malati in fase terminale e le direttive anticipate. A due anni dalla sua entrata in vigore, la legge è tornata di nuovo in discussione nell’ambito degli Stati generali della bioetica, avviati lo scorso 18 gennaio. Due gli argomenti dibattuti: l’eutanasia e il suicidio assistito.
Con la Dichiarazione, i vescovi scendono di nuovo in campo sostenendo in primo luogo le cure palliative. Ciò che preoccupa l’episcopato è che queste cure sono ancora poco conosciute. I vescovi “deplorano” il fatto che vi siano disparità di accesso a questo tipo di cura sul territorio francese così come una insufficiente formazione medica. È proprio a causa di queste carenze e della mediatizzazione di alcuni casi particolari, che “molti richiedono un cambiamento della legge e una legalizzazione dell’assistenza medica al suicidio e della eutanasia”.
Di fronte a questa richiesta, i vescovi ribadiscono la loro “opposizione etica” sulla base di “sei ragioni”. La prima è che la legge in vigore risale a soli due anni e la sua applicazione è ancora in gran parte in cantiere. Cambiare ora la legge – scrivono i vescovi – manifesta “la mancanza di rispetto per il lavoro legislativo compiuto”. Come può lo Stato – chiedono poi i vescovi al punto 2 – promuovere l’aiuto al suicidio assistito e all’eutanasia e, al tempo stesso, sviluppare un piano contro il suicidio, senza contraddirsi? E al punto 3, si fa notare che se lo Stato conferisce alla medicina il compito di esaminare le domande di eutanasia e suicidio assistito, le persone possono essere indotte a pensare che “una vita non è più degna di essere vissuta” e ciò è in contraddizione con il Codice di deontologia medica. “Uccidere – scrivono i vescovi – anche con la pretesa di farlo per compassione, non può essere in alcun modo una cura”.
Il punto 4 è dedicato ai malati in fase terminale che “hanno bisogno della fiducia e dell’ascolto per poter condividere i loro desideri, anche se spesso questi desideri sono ambivalenti”. “La vulnerabilità delle persone in situazione di dipendenza e di fine vita chiede non un gesto di morte ma un accompagnamento solidale”. Coloro che invocano il suicidio assistito e l’eutanasia affermano “la scelta sovrana del malato”. Ma può questo diritto alla libertà – chiedono i vescovi al punto 5 – lasciare la persona in stato di vulnerabilità “nella solitudine della sua decisione?”. Al punto 6, la Dichiarazione richiama ad una conseguenza: reclamare un aiuto medico a morire, significa anche preventivare la nascita – come è successo nei Paesi vicini – di “istituzioni specializzate nella morte”. Concludono i vescovi: “Alla luce di quanto detto, chiediamo ai nostri concittadini e ai nostri parlamentari un sussulto di coscienza perché si edifichi sempre di più in Francia una società fraterna in cui ci si prende individualmente e collettivamente cura gli uni degli altri”.

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