Padiglione Santa Sede: card. Ravasi (commissario) al Sir, “offrire un itinerario interiore a credenti e non credenti”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“L’architettura rappresenta sicuramente una delle espressioni alte dell’esistenza umana: la casa e naturalmente il tempio che è segno dell’incontro con l’eterno, l’infinito, il mistero. Per questo abbiamo volto che dieci architetti di tutto il mondo con le sensibilità diverse delle loro fedi differenti, culture ed espressioni proponessero questo spazio di incontro e dialogo con Dio, ed è sulla scia di un itinerario già iniziato nel secolo scorso quando grandi architetti del passato hanno iniziato a costruire chiese o quando i papi hanno voluto incontrare gli artisti. In questa luce è semplicemente un incontro fra due sorelle, l’arte e la fede che si erano separate che ora scelgono di camminare insieme”. Lo ha detto al Sir il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, a margine della presentazione in sala stampa vaticana del primo Padiglione della Santa Sede alla 16a Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia di cui è commissario. “Vatican Chapels” il nome del Padiglione, il cui progetto è ispirato alla “Cappella del bosco” di Gunnar Asplund costruita nel 1920 nel cimitero di Stoccolma. Il Padiglione, ospitato nel bosco che si trova all’estremità dell’isola di San Giorgio Maggiore, è formato da dieci cappelle più l’Asplund Pavilion (in totale undici spazi). “La scelta di essere presenti alla Biennale architettura – spiega ancora il cardinale – è certamente un’opzione particolare perché va incontro a una domanda. Tante volte le chiese che sono sorte negli ultimi tempi non hanno rispettato questo confronto/dialogo con l’arte e l’architettura che aveva sviluppi nuovi, inediti. Ci si è accontentati di costruire edifici sacri molto modesti o di ripetere copiando stili del passato”. “Ciò che si vuole fare – prosegue Ravasi – è che con l’alta architettura anche negli piccoli paesi e villaggi si possa costruire una chiesa bella che sia comprensibile alle giovani e future generazioni che usano nuovi linguaggi. E questo deve accadere per la liturgia che è per eccellenza opera di un popolo”.  Che richieste ha fatto agli architetti? “Sostanzialmente due: la prima riguarda soprattutto la necessità di manifestare che si tratta di una cappella cristiana, quindi il segno della croce, e nell’’interno le due componenti fondamentali: l’altare e l’ambone, la presenza di Dio nell’Eucaristia e la Parola”. La seconda linea “è stata quella di offrire anche a coloro che non sono credenti la possibilità di entrate in uno spazio di riflessione e meditazione. Non per nulla le cappelle sono incastonate in un bosco, chi entra – conclude – farà itinerario di silenzio interiore, luce, penombra, incontro con il mistero”.

 

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