Rifugiati: Mancini (Msf), “a Ventimiglia condizioni di vita allarmanti”

Dalla fine del 2016, più di 20 persone sono morte nel tentativo di lasciare l’Italia. Quindici solo al confine con la Francia. Molti hanno perduto la vita sulle montagne, lungo il cosiddetto “passo della morte”, usato nel passato da ebrei in fuga, partigiani e contrabbandieri. Molti continuano ad essere respinti, spesso con la violenza, da uomini in uniforme, italiani o francesi. È “l’istantanea” scattata da “Mal di Frontiera”, un’indagine specifica condotta da Medici senza frontiere sul caso di Ventimiglia, presentata oggi a Roma insieme al Rapporto “Fuori campo”. “Abbiamo indagato i casi di violenza che hanno accompagnato le persone nel loro viaggio e durante i respingimenti alle frontiere”, ha spiegato la curatrice Silvia Mancini ricordando che “i controlli hanno esasperato una condizione di vulnerabilità preesistente”. Nel campo di Ventimiglia e nel vicino insediamento informale “le condizioni di vita sono allarmanti per mancanza di igiene e di acqua potabile” e “l’accesso alle cure resta un problema”. “Diciamo ‘no’ ai respingimenti collettivi, all’uso della forza durante i respingimenti e i trasferimenti forzati verso il Sud Italia e chiediamo che i rifugiati siano trattati con umanità e dignità, specialmente le donne, i disabili, i minori, le vittime di tortura”, ha affermato Mancini che ha sottolineato l’importanza di “garantire l’accesso alle cure anche di secondo livello con un’attenzione ai malati cronici”.

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