Quaresima: mons. Caiazzo (Matera-Irsina), “il fine dell’obbedienza è un bene superiore, non sempre comprensibile”

“Fin da piccoli una delle regole da osservare è l’obbedienza. Necessaria per crescere e maturare. Di certo i genitori non impongono la loro volontà se non per il bene dei loro figli; non sono così sadici da farli soffrire. Lo stesso si persegue a scuola o in altri ambienti della vita sociale. Il fine dell’obbedienza è un bene superiore, non sempre comprensibile”. Lo afferma l’arcivescovo di Matera-Irsina, mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, nella meditazione per la seconda domenica di Quaresima. “Anche nella Chiesa l’obbedienza è indispensabile per tutti: laici, consacrati e religiosi – aggiunge il presule –. Il vescovo, il sacerdote, il diacono chiedono, in virtù di una scelta ben precisa fatta nel momento dell’ordinazione di servire il Signore e la sua Chiesa, obbedendo all’autorità costituita”. Mons. Caiazzo sottolinea che non si tratta di “una forma di vassallaggio, bensì un segno di comunione, di corresponsabilità”. Richiamandosi alla liturgia, che “ci presenta Abramo, chiamato da Dio a lasciare la sua terra e andare dove Dio gli indica”, il vescovo spiega che “l’obbedienza a Dio fa l’uomo libero”. “Senza obbedienza – aggiunge – non c’è futuro, poiché vengono a mancare l’umanità e la possibilità di crescere nella conoscenza della realtà celeste. Senza obbedienza alla Chiesa viene a mancare la missione sacerdotale, profetica e regale. Tutto quello che si fa è una celebrazione di se stessi: creature che si sostituiscono al Creatore”. Mons. Caiazzo, infine, indica le conseguenze dell’obbedienza, che “provoca sempre una sofferenza iniziale”. “Ma il dolore e la sofferenza iniziali si trasformano in soddisfazione, gioia, sollievo, fecondità. Dio ricompensa benedicendo il futuro”.

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