Embraco: difficile adesso evitare i licenziamenti. Calenda valuta gli aiuti di Stato

Per i 497 lavoratori della Embraco (del gruppo Whirlpool), la giornata di oggi è forse la più amara da quando questa storia è iniziata. Dopo la notizia dei licenziamenti, confermata più volte nelle ultime settimane, l’offerta di trasformare in contratti part-time fino a novembre gli attuali contratti a tempo indeterminato, è apparsa a tutti come una presa in giro. Tanto da far scoppiare non solo l’ira di lavoratori e sindacati, ma anche quella di Carlo Calenda, ministro per lo Sviluppo economico, che per conto del Governo ha seguito la vicenda.
Adesso, sarà ben difficile bloccare il percorso che porta al licenziamento collettivo e di fatto alla chiusura dello stabilimento di Riva di Chieri alle porte di Torino specializzato nella produzione di compressori per frigoriferi che occupa 537 persone. Il rifiuto di ipotesi di reindustrializzazione dell’area oltre che di avvio delle procedure di cassa integrazione, la dice lunga sulla ferrea volontà della Whirlpool di mettere fine alla vicenda in tempi brevi.
Tenendo conto che stando alle regole di legge, adesso la procedure di licenziamento potrebbe risolversi in un mese circa, l’intera vicenda della Embraco coprirebbe un arco di nemmeno un anno. I problemi, infatti, sono emersi apertamente nello scorso ottobre, quando l’azienda ha manifestato l’intenzione di ridurre la produzione e poi di chiudere definitivamente lo stabilimento a causa dello spostamento delle produzioni in altre sedi della Whirlpool in Europa. Fra ottobre e gennaio, una serie di incontri con le Istituzioni locali e poi con il Governo aveva sottoposto i lavoratori ad una serie di alti e bassi fra speranze di ripensamento dell’azienda e illusioni di altre imprese interessate ad un’operazione di reindustrializzazione dell’area.
Ad inizio gennaio, davanti ai cancelli dell’azienda, era stato anche l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, che in un incontro con i lavoratori aveva testimoniato la “solidarietà e vicinanza” della Chiesa torinese. Nosiglia fra l’altro aveva detto: “Chi pensa di risolvere il problema di un’azienda licenziando gente è come se volesse vendere la sua gente e domani venderà la sua dignità”. L’arcivescovo aveva poi informato della situazione anche Papa Francesco.
Ma, dopo una serie di incontri-scontri con il Governo, adesso la doccia fredda: part-time a tempo determinato al posto di licenziamenti immediati. Di “gentaglia”, ha parlato oggi il ministro Calenda riferendosi ai vertici aziendali. Mentre i lavoratori di fronte alla proposta (rifiutata) di part-time si sono chiesti: “E dopo cosa facciamo?”. A questo punto, pare rimanere solo la scialuppa della reindustrializzazione, tutta però da costruire in fretta. Anche se proprio a sera lo stesso Calenda ha affermato di valutare la possibilità di mettere mano agli aiuti di Stato. “Esiste – ha spiegato Calenda -, una norma nei trattati che potrebbe consentire al governo italiano di derogare al principio degli aiuti di Stato, quindi di potere aiutare le aziende, quando si è in presenza di un pacchetto che viene offerto da un altro Paese localizzativo e di potere offrire le stesse condizioni”.

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