Nobel per la pace: Nadia Murad, “tremila ragazze ancora nelle mani dell’Isis”. Il vero premio? “La giustizia”

“Oggi è un giorno speciale per me. È il giorno in cui il bene ha trionfato sul male, il giorno in cui l’umanità ha sconfitto il terrorismo, il giorno in cui i bambini e le donne che hanno subito persecuzioni hanno trionfato sugli autori di questi crimini”. È Nadia Murad a parlare a Oslo, dopo aver ricevuto il premio Nobel per la pace 2018. Il suo viso reso di pietra dalle troppe sofferenze, la voce dolce e ferma, racconta: “Ho vissuto la mia infanzia di ragazza a Kojo, un villaggio a sud della regione di Sinjar. Non sapevo nulla dei conflitti e delle uccisioni che avvenivano ogni giorno nel nostro mondo. Non sapevo che gli esseri umani potessero perpetrare simili orribili crimini l’uno contro l’altro”. Le hanno ucciso la madre e sei fratelli, vittime di quel genocidio che ha ridotto la comunità yazida in Siria a 5mila persone, dalle 80mila che erano. Nemmeno “la comunità internazionale è riuscita a salvarci dall’Isis e a impedire il verificarsi del genocidio contro di noi, ma ha osservato pigramente l’annientamento di una intera comunità”. Non racconta di sé e delle esperienze di violenza che ha vissuto nel suo corpo, ma “degli oltre 6.500 bambini e donne yazide catturate, vendute, comprate, abusate sessualmente e psicologicamente”. Di loro “3mila sono ancora nelle mani dell’Isis e di loro non si sa nulla”. “È inconcepibile che la coscienza dei leader di 195 Paesi in tutto il mondo non si sia mobilitata per liberare queste ragazze”. Nadia ringrazia “per l’onore di questo premio, ma resta il fatto che l’unico premio al mondo in grado di ripristinare la nostra dignità è la giustizia e perseguire i criminali”.

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