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L’Egitto “è considerato culla di civiltà ma oggi sui diritti umani c’è ancora tanta strada da fare”. Lo dice l’egiziano mons. Botros Fahim Awad Hanna, vescovo copto-cattolico di Minya, portando la propria testimonianza a Palazzo Borromeo, a Roma, dove in una sala illuminata di rosso viene presentato il Rapporto 2018 sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs). “La costituzione varata quattro anni fa – spiega – garantisce teoricamente la libertà religiosa, ma nella pratica ciò non avviene ed è sempre molto difficile vivere la fede cristiana, trovare un lavoro, praticare l’uguaglianza”. Tempi lunghissimi e burocrazia lenta e farragginosa per costruire una chiesa, aggiunge ricordando che nel villaggio in cui è nato “hanno dovuto aspettare 18 anni per costruirne una”. In Egitto “la libertà religiosa è a senso unico: per un cristiano che si converte all’islam – spiega – la strada è spianata ma per un musulmano che voglia convertisti al cristianesimo o al giudaismo non è affatto così. È una libertà garantita solo sulla carta”. Di qui il pensiero ai cristiani colpiti negli ultimi anni in giorni di festa: la domenica delle Palme, la notte di Natale, lo scorso 2 novembre, commemorazione dei defunti, quando “una famiglia andata a battezzare il figlio è stata colpita e non è più tornata a casa”. “Il problema – spiega mons. Hanna – non è il governo, ma la mentalità pubblica perché i gruppi islamici fondamentalisti hanno diffuso una mentalità chiusa e aggressiva nei confronti delle altre religioni”. Tuttavia, conclude, “la Chiesa in Egitto vive con la speranza che l’ultima parola non è la croce ma la resurrezione”.