Grande Guerra: card. Parolin, per Benedetto XV “la Santa Sede avrebbe criticato i trattati se la pace fosse rimasta sulla carta”

Il “monito ai vincitori perché non abusassero della loro forza del momento indicava anche i limiti entro i quali la Santa Sede avrebbe approvato i trattati di pace: erano benvenuti perché sanzionavano la cessazione delle ostilità e aprivano le possibilità di rinnovata collaborazione tra i popoli, ma accettati con perplessità e critica, quando la pace rimaneva sulla carta anziché nei cuori degli uomini e le esigenze della carità cristiana non erano soddisfatte”. Lo ha ricordato oggi pomeriggio alla Lateranense il card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, nella sua prolusione al convegno “Santa Sede e cattolici nel mondo postbellico (1918-1922)”.
Dopo essersi soffermato sulle sfide per “la diplomazia papale postbellica” rappresentate dal crollo della monarchia asburgica e dalla rivoluzione bolscevica in Russia, Parolin ha concluso sottolineando che “nonostante tutte le difficoltà e la continuazione della situazione di inferiorità diplomatica legata all’irrisolta Questione romana, la guerra e gli sviluppi immediatamente postbellici, la stretta imparzialità, le vaste azioni di mediazione, di pacificazione e di assistenza e il generoso amore per l’uomo e per tutti i popoli aumentarono il rispetto e il prestigio di cui godeva il papato e la sua diplomazia e rafforzarono le sue posizioni sullo scacchiere internazionale”. Se all’inizio del pontificato, nel settembre 1914, la Santa Sede aveva relazioni con solo 17 Stati, prima della morte di Papa Della Chiesa, nel gennaio 1922 il numero dei partner diplomatici salì a 27.

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