Papa Francesco: discorso apertura Sinodo, chiedere perdono per “clericalismo”. No a “virus dell’autosufficienza” dei giovani. Futuro “non è una minaccia” e conclusione Sinodo “non è solo un documento”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Superare con decisione la piaga del clericalismo”. Nella parte finale del suo discorso di apertura della prima Congregazione generale del Sinodo sui giovani, il Papa è tornato su uno dei temi a lui cari, facendo notare che “l’ascolto e l’uscita dagli stereotipi sono anche un potente antidoto contro il rischio del clericalismo, a cui un’assemblea come questa è inevitabilmente esposta, al di là delle intenzioni di ciascuno di noi”. Il clericalismo, ha ammonito ancora una volta Francesco, “nasce da una visione elitaria ed escludente della vocazione, che interpreta il ministero ricevuto come un potere da esercitare piuttosto che come un servizio gratuito e generoso da offrire; e ciò conduce a ritenere di appartenere a un gruppo che possiede tutte le risposte e non ha più bisogno di ascoltare e di imparare nulla. Il clericalismo è una perversione ed è radice di tanti mali nella Chiesa: di essi dobbiamo chiedere umilmente perdono e soprattutto creare le condizioni perché non si ripetano”. Altra piaga da “curare”, per Francesco, è “il virus dell’autosufficienza e delle affrettate conclusioni di molti giovani”. A questo proposito, il Papa ha citato un proverbio egiziano, che recita: “Se nella tua casa non c’è l’anziano, compralo, perché ti servirà”. “Ripudiare e rigettare tutto ciò che è stato trasmesso nei secoli porta soltanto al pericoloso smarrimento che purtroppo sta minacciando la nostra umanità”, il monito di Francesco: “Porta allo stato di disillusione che ha invaso i cuori di intere generazioni. L’accumularsi delle esperienze umane, lungo la storia, è il tesoro più prezioso e affidabile che le generazioni ereditano l’una dall’altra. Senza scordare mai la rivelazione divina, che illumina e dà senso alla storia e alla nostra esistenza”.
“Che il Sinodo risvegli i nostri cuori!”, ha esclamato il Papa: “Il presente, anche quello della Chiesa, appare carico di fatiche, di problemi, di pesi. Ma la fede ci dice che esso è anche il kairos in cui il Signore ci viene incontro per amarci e chiamarci alla pienezza della vita. Il futuro non è una minaccia da temere, ma è il tempo che il Signore ci promette perché possiamo fare esperienza della comunione con Lui, con i fratelli e con tutta la creazione”. “Abbiamo bisogno di ritrovare le ragioni della nostra speranza e soprattutto di trasmetterle ai giovani, che di speranza sono assetati”, la tesi del Papa, ancora una volta – come nell’omelia della Messa di questa mattina in piazza San Pietro – sulla scorta del Concilio, ed in particolare della Gaudium et spes, dove si legge: “Legittimamente si può pensare che il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza”. “L’incontro tra le generazioni può essere estremamente fecondo in ordine a generare speranza”, ha assicurato Francesco utilizzando una delle sue citazioni preferite, presa dal profeta Gioele: “I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni”. “Non c’è bisogno di sofisticate argomentazioni teologiche per mostrare il nostro dovere di aiutare il mondo contemporaneo a camminare verso il regno di Dio, senza false speranze e senza vedere soltanto rovine e guai”, il commento, stigmatizzando – con le parole di San Giovanni XXIII all’apertura del Concilio – le persone che “nelle attuali condizioni della società umana non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita”. Non lasciarsi dunque tentare dalle “profezie di sventura”, non spendere energie per “contabilizzare fallimenti e rinfacciare amarezze”, tenere fisso lo sguardo sul bene che “spesso non fa rumore, non è tema dei blog né arriva sulle prime pagine”, e non spaventarsi “davanti alle ferite della carne di Cristo, sempre inferte dal peccato e non di rado dai figli della Chiesa”, gli imperativi finali del discorso del Papa, che ha esortato i padi sinodali a “frequentare il futuro” e a “far uscire da questo Sinodo non solo un documento – che generalmente viene letto da pochi e criticato da molti –, ma soprattutto propositi pastorali concreti, in grado di realizzare il compito del Sinodo stesso, ossia quello di far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani, e ispiri ai giovani – a tutti i giovani, nessuno escluso – la visione di un futuro ricolmo della gioia del Vangelo”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Riepilogo

Informativa sulla Privacy