Migranti: Tayodjo (rifugiato), “quante orecchie servono per sentire il grido di chi piange?”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Se uno lascia la propria tana per mettersi in viaggio e venire qui dove tutto intorno c’è fuoco, vuol dire che ha valutato che quello che c’è nella tana è peggiore di quello che troverà”. Franck Tayodjo cita un vecchio adagio del Camerun per ricordare che “tutti quelli che lasciano il proprio Paese non lo fanno con piacere”. Franck ha 41 anni e da 15 è in Italia: è arrivato nascosto nella stiva di un aereo. Un viaggio della speranza lungo e difficile, che gli ha danneggiato permanentemente un timpano. Oggi Franck ha il permesso di soggiorno, è stato raggiunto dalla moglie e dalla figlia adottiva, studia e lavora “a chiamata”. È stato accolto nel centro per rifugiati “San Saba”, gestito dal Centro Astalli, e oggi è stato lui a prestare la voce a Zaher Rezai, un bambino afghano trovato a Mestre l’11 dicembre 2008 schiacciato dal tir sotto il quale si era nascosto. Durante la cerimonia di inaugurazione di uno dei “Giardini della memoria e dell’accoglienza”, voluti dal Centro Astalli nelle città in cui opera come invito a non dimenticare le vittime dell’immigrazione e ad accogliere, Franck ha letto la poesia scritta sul taccuino del bimbo afghano. “Lui non ce l’ha fatta, come tanti. Quando senti storie come queste, ti chiedi perché tu sì e loro no e ti senti in colpa”, confida Franck. Che aggiunge: “Ma alla gente quante orecchie servono perché possa sentire il grido delle persone che piangono?”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Riepilogo

Informativa sulla Privacy