Papa in Cile: incontro clero, “non siamo qui perché siamo migliori degli altri”. “Una Chiesa con le piaghe non si crede perfetta”

“Non siamo qui perché siamo migliori degli altri. Non siamo supereroi che, dall’alto, scendono a incontrarsi con i ‘mortali’. Piuttosto siamo inviati con la consapevolezza di essere uomini e donne perdonati. E questa è la fonte della nostra gioia”. È l’identikit della vita consacrata, tracciato dal Papa nel discorso al clero, pronunciato nella cattedrale di Santiago. “Il consacrato è colui e colei che incontra nelle proprie ferite i segni della Risurrezione; che riesce a vedere nelle ferite del mondo la forza della Risurrezione; che, come Gesù, non va incontro ai fratelli con il rimprovero e la condanna”. “Gesù non si presenta ai suoi senza piaghe”, ha ricordato Francesco: “Proprio partendo dalle sue piaghe Tommaso può confessare la fede. Siamo invitati a non dissimulare o nascondere le nostre piaghe”. “Una Chiesa con le piaghe è capace di comprendere le piaghe del mondo di oggi e di farle sue, patirle, accompagnarle e cercare di sanarle”, la tesi del Papa: “Una Chiesa con le piaghe non si pone al centro, non si crede perfetta, ma pone al centro l’unico che può sanare le ferite e che si chiama Gesù Cristo. La consapevolezza di avere delle piaghe ci libera; sì, ci libera dal diventare autoreferenziali, di crederci superiori. Ci libera da quella tendenza prometeica di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato”. “In Gesù, le nostre piaghe sono risorte”, ha proseguito Francesco: “Ci rendono solidali; ci aiutano a distruggere i muri che ci imprigionano in un atteggiamento elitario per stimolarci a gettare ponti e andare incontro a tanti assetati del medesimo amore misericordioso che solo Cristo ci può offrire”. Tra gli altri atteggiamenti stigmatizzati dal Papa, “quell’atteggiamento distruttivo che è il vittimismo” o, al contrario, il “cadere in un ‘tanto è tutto uguale’ che finisce per annacquare qualsiasi impegno nel relativismo più dannoso”. Ugualmente sbagliato, per Francesco, è “considerare chiunque come se fosse un nemico, o non accettare con serenità le contraddizioni o le critiche”. No, inoltre, anche alla “tristezza” e al “malumore”.

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