Diocesi: mons. Sanguineti (Pavia) annuncia la sua prima visita pastorale, “sia davvero un tempo di grazia”

Mons. Corrado Sanguineti, vescovo di Pavia

“Vi chiedo di accompagnare fin da ora il tempo della visita pastorale con la vostra preghiera, personale e comunitaria, perché sia davvero un tempo di grazia per le nostre parrocchie, per la Chiesa che è in Pavia”. È l’invito rivolto dal vescovo di Pavia, mons. Corrado Sanguineti, nella lettera d’indizione e di annuncio della sua prima visita pastorale alla diocesi pubblicata dal settimanale “Il Ticino”. “Il prossimo 24 gennaio ricorre il secondo anniversario del mio ingresso come vescovo in questa amata diocesi”, osserva mons. Sanguineti, rivelando che “mi sento davvero ‘di casa’ tra voi, sento Pavia come la mia città che sto imparando ad amare, e la diocesi come la Chiesa che il Signore mi affida e verso la quale avverto un grande debito di gratitudine e un profondo desiderio di spendermi, pur con i miei limiti”. Il vescovo spiega che “con questo spirito” si appresta a cominciare la “visita pastorale a tutte le parrocchie e realtà della nostra diocesi, iniziando a percorrere, in questo anno 2018, la zona del quarto vicariato, avviando la visita dall’unità pastorale di Certosa-Cascine Calderari-Torriano, a partire da lunedì 29 gennaio”.
“Ogni anno – aggiunge – sarà dedicato, a Dio piacendo, a un vicariato: il 2018 al quarto vicariato, il 2019 al terzo, il 2020 al secondo e il 2021 al primo”. “Il mio desiderio – assicura mons. Sanguineti – è dare un tempo ampio che mi permetta di conoscere la vita reale delle nostre comunità, con le loro fatiche e le loro speranze”. A caratterizzare la visita pastorale sarà la frase “Ecco: sto alla porta e busso” (Ap 3,20), che Gesù risorto rivolge nel libro dell’Apocalisse alla Chiesa di Laodicèa. “Le nostre comunità”, auspica il vescovo, “non siano comunità chiuse e ripiegate su se stesse, nel lamento o nella nostalgia di tempi passati, ma siano comunità aperte, accoglienti, che tentano mille strade per incontrare le persone, con i loro ritmi, le loro ferite, e magari anche con la loro indifferenza o estraneità alla vita cristiana”.

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