Alzheimer: don Arice, “la dignità umana è inalienabile, non va data ma riconosciuta”. No a “cultura mortifera”

Una riflessione sul concetto di dignità poiché “da sempre la questione antropologica è all’origine dei processi culturali orientativi della scienza e quindi determinanti la prassi”. A proporla, oggi al convegno “I numeri della demenza di Alzheimer in Italia. La riorganizzazione delle Uva. Dalla diagnosi all’assistenza” promosso al Senato da Sos Alzheimer, è don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei. Una questione seria, avverte, perché se come sostengono alcuni, “sono persone solo quegli esseri che hanno in atto l’autocoscienza e la razionalità, e se queste indicazioni dovessero tradursi in diritto e giurisprudenza, presto avremmo una porta spalancata all’affermazione di una cultura mortifera, abilitata a selezionare e giudicare vite degne e vite indegne”. Di qui il richiamo alla forte presa di posizione di Papa Francesco nel Messaggio per la XXIII Giornata mondiale del malato. Per don Arice, “la dignità piena, inalienabile e non graduabile di ogni essere umano, ossia il valore che ogni uomo possiede per il semplice fatto di esser uomo e di esistere è ciò che lo qualifica persona, individuo unico e irripetibile. Il valore dell’esistenza individuale è l’autentico fondamento della dignità umana”. Di fronte a malattie inguaribili come l’Alzheimer “occorre avere il senso del limite”, il monito del sacerdote: “nostro compito non è tanto quello di pretendere che la malattia e la morte non esistano più, ma aiutare le persone nella ricerca di senso che la fragilità umana impone”.

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