Alzheimer: don Arice (Cei), servono “riflessione antropologica” e “accompagnamento e sostegno per familiari-caregiver”

“In un contesto nel quale si sta diffondendo la mentalità secondo cui si può decidere se una vita sia degna o non degna di essere vissuta, la famosa cultura dello scarto di cui parla Papa Francesco”, la questione dell’approccio di cura ai malati di Alzheimer “ha bisogno anzitutto di una riflessione di tipo antropologico”. Non ha dubbi don Carmine Arice, direttore dell’ Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, che abbiamo incontrato in occasione della XXIV Giornata mondiale dell’Alzheimer che ricorre oggi. Per don Arice “è necessario un recupero dell’ontologia a 360 gradi. Senza una visione ontologica nella quale ‘l’essere’ preceda ‘il come,’ affronteremo questo tema solo in modo funzionalista negando il primato dell’uomo”. La demenza senile, di cui l’Alzheimer costituisce la forma più comune, colpisce nel mondo quasi 47 milioni di persone; oltre un milione 240 mila nel nostro Paese, al cui interno si contano circa 600 mila malati di Alzheimer, un over 85 su quattro. Per questi pazienti mancano risorse e servizi di cura e assistenza adeguati. A rischio la salute psico-fisica dei familiari che li accudiscono. Per questo, don Arice, eletto nei giorni scorsi superiore generale della Società dei sacerdoti di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, chiarisce immediatamente che dopo la riflessione antropologica “occorre individuare e mettere in atto condizioni per migliorare la qualità della vita non solo dei malati ma anche delle loro famiglie che se ne prendono cura, alle quali occorre garantire accompagnamento e sostegno”.

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