Salute: don Arice (Cei), “anche l’intera nostra società è un ospedale da campo segnato da crisi antropologica”

(dall’inviato a Rimini) – “Non solo la Chiesa ma l’intera nostra società è un ospedale da campo segnato da una crisi antropologica che nega il primato dell’uomo e, con carenti riferimenti di senso, pone come prospettiva unica il profitto”. Lo ha affermato oggi pomeriggio don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, intervenendo all’incontro tematico svoltosi al Meeting di Rimini. Per don Arice, nel dibattito generale ci sono “poche proposte e risposte per far fronte alle difficoltà di accesso alle cure e ai farmaci”. “Con ragione – ha osservato – Papa Francesco denuncia il pericolo di un ‘eccesso diagnostico’ che non sempre è accompagnato da proposte risolutive e realmente applicabili”. Il sacerdote ha ricordato “che sono 12 milioni gli italiani che rinunciano a curarsi (1 milione in più rispetto al 2015) e che in questi ultimi anni è cresciuta gradualmente la difficoltà di assistenza sanitaria fino a trovare difficoltà a curare patologie anche inserite nei Livelli essenziali di assistenza”. A questo, si somma “la corruzione, che in Italia è stimata annualmente in 6 miliardi” e “gli sprechi che portano un danno pari a 8 miliardi di euro l’anno”. “Preoccupa”, ha aggiunto don Arice, “una popolazione anziana che conosce su 12,5 milioni di ultrasessantacinquenni ben 3 milioni di non autosufficienti con 1,2 milioni di anziani affetti da patologie neurodegenerative”. “Prima di considerare se sia giusto o meno dare la morte a chi la chiede – ha ammonito – dovremmo creare le condizioni utili affinché nessuno la domandi, né pazienti e nemmeno parenti, per disperazione, solitudine e mancanza di aiuto”. Oltre a sottolineare l’importanza di “promuovere un welfare generativo”, il sacerdote ha focalizzato l’attenzione sui rischi a cui si va incontro: “quali criteri determineranno l’allocazione delle risorse in sanità?”. E poi quello della “medicina difensiva” che potrebbe aumentare “ancora di più il divario tra medico e paziente”. Per don Arice, “occorre anzitutto un umanesimo nuovo che prima di cercare le necessarie strategie perché giustizia, equità, sussidiarietà, siano assicurate per tutti, metta le premesse perché si generino uomini nuovi”. “Accanto a questo – ha concluso – è necessaria una prossimità reale che genera storia e storie e che, mentre lavora per giustizia e legalità non aspetta, ma si rimbocca le maniche e opera perché quell’uomo che incontra sulla strada riceva segni di salute e di salvezza”.

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