Diaconi: mons. Aiello (Cei), “quando non si può più curare l’altro, dobbiamo prendercene cura”

“Quando non si può più curare l’altro, dobbiamo prendercene cura”. Lo ha detto mons. Arturo Aiello, vescovo di Avellino e delegato per il diaconato della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata della Cei, durante il convegno nazionale dei diaconi, al via da oggi pomeriggio ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo. Il riferimento è ai malati terminali e a quelli ricoverati negli hospice. “Il curare è una dimensione importante ma viene un momento in cui non è più possibile farlo. Allora dobbiamo aver cura di quella persona”, ha spiegato il vescovo, che ha ricordato come “una malattia di un componente della famiglia colpisca tutta la famiglia”. “Oggi la nostra società, e forse le nostre chiese, si difendono da certe visioni perché la malattia dell’altro ferisce e ricorda il nostro dolore”. Un dolore che, sostiene mons. Aiello, va combattuto in un modo particolare: “Dobbiamo toccare i malati senza guanti. Gesù guarda, ha compassione, parla e ascolta senza tenere nessuna distanza”. E, infine, la distinzione tra curare e aver cura. “Ci sono momenti in cui non c’è più una cura specifica o non c’è più nulla da fare. È proprio allora che c’è molto da fare. Mi riferisco alla presenza negli hospice di chi dica ai malati terminali: ‘Tu sei importante per me’, di chi tenga loro le mani. Questo è il prendersi cura degli altri. Senza ciò il malato diventa una cartella clinica”.

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