Ambiente: Van der Veen (Paesi Bassi), “negli oceani più plastica che pesci”. Occorre “sensibilizzare l’opinione pubblica” perché non abbiamo un “pianeta B”

“Ci vorranno almeno 20 anni per ripulire l’Oceano Pacifico”. La stima è del ministro degli Esteri dei Paesi Bassi, Roel Van der Veen, che durante il convegno su “Oceans. Caring for a common heritage”, promosso oggi alla Pontificia Università della Santa Croce dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, in collaborazione con le ambasciate di Francia, Monaco e Paesi Bassi presso la Santa Sede, ha lanciato un grido d’allarme sul livello di inquinamento degli oceani: “Se le tendenze attuali continueranno, entro il 2050 negli oceani ci sarà più plastica che pesci, e le risorse idriche verranno ridotte in maniera significativa”. L’inquinamento degli oceani dipende dall’attività degli oceani stessi, dall’atmosfera e dalla terra, ha spiegato il ministro: “Più dell’80% del commercio mondiale avviene sul mare, con imbarcazioni sempre più grandi”, ha fatto notare a proposito del primo tipo di inquinamento, di cui sono il simbolo i “cargo” che solcano perfino i mari artici. Il secondo tipo di inquinamento marino è dato dai gas dell’effetto serra: “Gli oceani li assorbono, e così salvano l’atmosfera ma rovinano loro stessi, diventando sempre più caldi e più acidi”. Senza contare la graduale scomparsa della barriera corallina, che produce un aumento delle precipitazioni che in alcuni Paesi, come le Maldive, fa scomparire intere isole. Infine, il ciclo dei rifiuti, i cui detriti non biodegradabili si infiltrano nelle acque e producono materiale tossico che raggiunge i mari: “La plastica non è biodegradabile – ha ricordato Van der Veen – e il sole la trasforma in piccole microplastiche che diventano il cibo dei pesci”. “Sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dell’ecosistema”, la proposta del relatore, “per arrivare a ‘zero rifiuti’ e all’economia circolare”. “Incoraggiare nuove soluzioni tecnologiche e lavorare con tutti gli attori interessati, dai governi alle organizzazioni internazionali”, le altre direzione di marcia: “Non possiamo fallire, perché non abbiamo un ‘piano B’. Non abbiamo un ‘pianeta B'”.

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