Europa e Africa: p. Albanese, “dobbiamo coltivare la speranza perché abbiamo un destino comune”

“Dobbiamo coltivare la speranza, guardano oltre la linea dell’orizzonte, perché abbiamo un destino comune”. Lo ha affermato questa mattina padre Giulio Albanese intervenendo alla giornata conclusiva della Summer School “Acting EurHope. Insieme per ridare speranza e futuro al progetto europeo”, promossa dall’Istituto di diritto internazionale della pace “Giuseppe Toniolo” dell’Azione cattolica italiana in collaborazione con Caritas italiana, Focsiv e Missio. Nel suo intervento, padre Albanese ha messo in guardia “dallo strapotere degli stupidi” che in questo momento sembrano avere la meglio. “Li troviamo dappertutto”, ha osservato: “Nelle istituzioni, nelle nostre comunità ecclesiali, nella società civile”. “Dobbiamo difenderci da loro – ha ammonito – affermando il pensiero forte, operando un sano discernimento, combattendo il pressapochismo”. “Il fenomeno migratorio, le relazioni tra Europa ed Africa e con il Sud del mondo non sono questioni complicate ma complesse” per cui “la risposta non è scontata, non è immediata. Per questo sono importanti il discernimento, la capacità di ascolto e di dialogo”. Secondo Albanese, “nelle relazioni tra Europa ed Africa, la sfida è soprattutto culturale” mentre “populismi, nazionalismi e regionalismi sono sintomatici del pensiero debole e sono in netta contraddizione con quello che si sta affermando sul palcoscenico della storia”. “Dire che è una sfida culturale significa capire con il cuore e con la mente che i problemi delle periferie del Sud del mondo, delle Afriche, sono i nostri problemi”. “È indecente che nessuno dei nostri telegiornali dica qualcosa su quello che succede in Somalia, nella Repubblica centrafricana, in Eritrea”. “In Francia – ha proseguito – si ha almeno la decenza di parlare delle ex colonie nei notiziari televisivi. Da noi sembra quasi che non abbiamo a che fare con le vicende del Corno d’Africa”. “Molto del pregiudizio nei confronti dei migranti – ha rilevato – è legato a questa ignoranza”. “Oggi lo slogan che va di moda è ‘aiutiamoli a casa loro’”. “Uno slogan – ha spiegato – che lascia il tempo che trova perché il Sud del mondo e le Afriche non sanno che farsene della nostra carità pelosa, della nostra beneficenza. Invocano giustizia, perché non sono Paesi poveri ma impoveriti”. Invece “la nostra gente è convinta che a quelle popolazioni abbiamo dato una barca di soldi. Dobbiamo comprendere – ha concluso – che ci troviamo di fronte a situazioni di esclusione sociale, di ingiustizia e di sopraffazione che gridano vendetta al cospetto di Dio”.

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