Lavoro: a Bussi si riparte dal polo chimico. Mons. Spina, “Spiraglio di luce, ma i responsabili del danno bonifichino i terreni”

“È stato avviato un processo di industrializzazione che crescerà negli anni. Todisco si è impegnato a investire risorse importanti per il mantenimento in essere di quello che già esiste, e per lo sviluppo di nuove attività. In un luogo che sembrava destinato all’abbandono, il segnale è positivo”. Così il vescovo di Sulmona-Valva, mons. Angelo Spina, commenta al Sir il rilancio del polo chimico nel sito della discarica dei veleni di Bussi, considerata il più grande immondezzaio d’Italia e forse d’Europa. A qualche mese dalla sentenza della Corte d’assise d’appello dell’Aquila, che nel febbraio scorso aveva riconosciuto l’avvelenamento colposo delle acque e condannato 10 dei 19 imputati con pene condonate perché i fatti sono tutti antecedenti al 2 maggio 2006, il polo chimico che apparteneva alla Solvay rilancia infatti la propria presenza nel mercato del cloro e derivati grazie all’acquisizione da parte del gruppo industriale facente capo all’imprenditore Donato Todisco. “Soffriamo un trauma per la mancanza di lavoro. L’inquinamento ha bloccato tutto: alcune aziende hanno disinvestito, mettendo a terra tante famiglie che non sanno più come andare avanti. Le persone chiedono due cose – spiega il vescovo -: la bonifica per garantire la salute e il rispetto dell’ambiente, perché il creato va protetto e custodito; il rilancio dell’occupazione, investendo in nuove tecnologie meno inquinanti. Abbiamo bisogno di lavorare. Papa Francesco dice che se all’uomo manca il lavoro, non ha più la dignità. Il lavoro non dà soltanto il pane da vivere”.

Dal canto suo Donato Todisco, che prima di fondare un gruppo che oggi è presente in Italia con 3 stabilimenti e 450 dipendenti ha lavorato in Solvay per 20 anni, assicura che la fabbrica di Bussi, “se tutto andrà bene, raddoppierà il fatturato in 24 mesi con l’assunzione di 30 o 40 persone”. Un raddoppio del personale per una struttura che ha rischiato di chiudere definitivamente: “Quando sono andato a Bruxelles per trattare l’acquisizione, ho avuto certezza che la chiusura totale dell’impianto sarebbe avvenuta il 31 dicembre 2016. Una prospettiva del genere avrebbe avuto come conseguenze immediate il licenziamento di tutti i dipendenti e l’inquinamento fuori controllo. Per carità – ammette Todisco -, non siamo intervenuti per filantropia. Lo abbiamo fatto perché ci vediamo del business. Ma prima di fare affari ci vogliono investimenti forti, i profitti arriveranno forse nel 2020”. L’investimento per lo stabilimento di Bussi ammonterà complessivamente a circa 50 milioni di euro: “Credo nella chimica – conclude l’imprenditore -, e la produzione in Italia non riesce ancora a tenere il passo di una richiesta di consumo elevata”.

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