Pastorale: mons. Sigalini (Cop), “si deve cambiare lo sguardo prima di fare programmi”

(Torino) – “Non si può pensare alle periferie dove l’individuo va a fare carità o solidarietà, se non parte da se stesso per ricuperare il centro della sua esistenza, un’unità complessa, ma vera e sperimentabile. La Chiesa qui ha un compito delicato, ma che può egregiamente fare: essere riferimento spirituale di un oltre sentito, sperimentato e condiviso, gratuito e libero, costante e riconoscibile”. Lo ha affermato questa mattina mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e presidente del Centro di orientamento pastorale (Cop), chiudendo a Pianezza (To) i lavori della 67ª Settimana nazionale di aggiornamento pastorale del Cop. Al termine della tavola rotonda guidata da don Giovanni Villata, direttore del Centro studi e documentazione della diocesi di Torino, mons. Sigalini ha sottolineato che “spendersi per le varie povertà è un contributo necessario, visibile, concreto e dà unità alle persone”. “La periferia, i poveri, gli emarginati di ogni tipo sono sempre stati al centro della preoccupazione di Gesù”, ha ricordato il vescovo, rilevando che “si tratta di seguire il maestro quando va in cerca della pecorella perduta”. “Noi vogliamo seguire il maestro – ha aggiunto -, non andiamo per farci belli e per farci dire che siamo bravi, ma anche perché noi stessi possiamo essere quella pecorella che si è smarrita o che ha voluto allontanarsi, oggi che le 99 sono fuori e soltanto una può essere rimasta dentro e non siamo certamente noi”.
Per Sigalini, “si deve cambiare lo sguardo prima di fare programmi”. “L’idea madre che ci viene suggerita direttamente da Papa Francesco è che la periferia è il punto da cui guardare sempre il centro”, ha proseguito, ribadendo che “occorre vedere la realtà dalla periferia”. In questi giorni a Pianezza, è emerso “che la famiglia è forse la periferia più difficile nella ricerca di quelle relazioni positive che ogni intervento in questo campo deve prevedere e promuovere”. “Su tutto, è importante non lavorare da soli e avere un laicato formato, corresponsabile e generoso”, ha concluso, evidenziando che “le periferie evolvono e ogni intervento deve essere calibrato sui cambiamenti”.

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