Giornata contro le droghe: card. Turkson, no a “indifferenza, complicità, soluzione d’emergenza e riduzione del danno”

“La definizione di modelli di intervento e di adeguati sistemi di monitoraggio, associata alla dotazione di fondi”. È la ricetta per fronteggiare le tossicodipendenze, offerta dal card. Peter Turkson, presidente del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, nel messaggio per la Giornata internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droghe. “Mentre il panorama delle dipendenze si diversifica, l’indifferenza e, talvolta, la complicità indiretta nei confronti del fenomeno delle stesse contribuisce a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi, concentrati su altre emergenze”, il monito del porporato, secondo il quale “di fronte a eventi che sorprendono i nostri giorni richiedendo sforzi, risorse e risposte impreviste, spesso è proprio la soluzione d’emergenza a prendere il sopravvento su una seria cultura della prevenzione capace di dotarsi di obiettivi, strumenti e risorse per garantire costanza e durevolezza alla presa in carico dei problemi”. Ne è una riprova, in molti Paesi, “la caduta degli impegni programmatici, dei servizi istituzionali e delle risorse”. Di qui le “lacune nella progettualità, nelle politiche e nelle prospettive”, segno di “un passo stanco e inadeguato di fronte a un mercato della droga molto competitivo e flessibile rispetto alla domanda, sempre disponibile a offerte nuove, per esempio oppiacei sintetici estremamente potenti di recente creazione, ecstasy e anfetamine”.
Proprio il crescente e diffuso consumo di ecstasy, per Turkson, “può fungere da indicatore di come l’uso di sostanze illecite abbia ormai invaso spazi quotidiani e come il tossicodipendente non si identifichi più con l’eroinomane, ma con il nuovo profilo del poliassuntore, che fa ricorso contestualmente a sostanze e alcol”. Di conseguenza, “le strategie di intervento non possono essere solo specialistiche o di riduzione del danno, né possono ancora considerare la droga quale fenomeno collusivo con il disagio sociale e la devianza”. “La riduzione del danno – spiega il cardinale – deve necessariamente comportare sia la presa in carico tossicologica sia l’integrazione con programmi terapeutici personalizzati, di carattere psicosociale, senza mai dare adito a forme di cronicità, lesive della persona ed eticamente riprovevoli. Finalizzata a evitare i danni collaterali alla dipendenza, la riduzione del rischio esprime, invece, istanze di natura più epidemiologica che terapeutica configurandosi come una strategia di controllo sociale e profilassi igienica. Il vero rischio è che essa possa portare, in modo più asettico e meno visibile, alla morte psicologica e sociale del tossicodipendente, differendone quella fisica”.

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