Migranti: mons. Gnavi (diocesi Roma), “la vita di chi viene da lontano ci interpella”

Mons. Marco Gnavi, parroco della basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma, e incaricato per il dialogo interreligioso della diocesi di Roma, durante la veglia di preghiera “Morire di Speranza”, ha parlato della necessità della perseveranza, la “perseveranza del nostro essere assieme, del nostro lottare per aprire varchi di accoglienza, della nostra invocazione comune, perché nella famiglia dei popoli, la vita di chi viene da lontano è nostra! Cioè ci interpella, è parte delle nostre speranze e delle nostre preoccupazioni”. La salvezza, ha aggiunto, “è un orizzonte che ci trova connessi, interdipendenti, nell’amore. La disconnessione, nella diffidenza e nella paura, è una grande fragilità, ma anche una bugia irrealistica – siamo irrimediabilmente legati gli uni agli altri – che si nasconde dietro ad apparente autosufficienza di confini, lingua, etnia, cultura, economia, esercito, ricchezza…L’autosufficienza è sempre misera”. Noi – ha continuato – ” cerchiamo parola e sapienza, a partire dal Vangelo, dalla memoria delle vite perdute e delle speranze incompiute che dobbiamo raccogliere, per chi è sopravvissuto, per chi è oggi fra noi. Cerchiamo questa parola e questa sapienza, nella nostra sinergia, nella comune preghiera. Vogliamo un futuro e un destino per tutti, nella speranza: per noi, per i profughi, per i nuovi italiani e per i nuovi europei. Papa Francesco, ci esorta a porre al cuore del nostro impegno l’integrazione; e in questo senso ci chiede di essere coraggiosi, intelligenti, tenaci”.

“Il Papa – ha sottolineato mons. Gnavi – più volte ha sottolineato il valore ecumenico e umano di ogni sforzo teso all’accoglienza e all’integrazione. Ha parlato recentemente del suicidio di quei Paesi del nostro continente che non accolgono la vita giovane dei migranti, mentre loro stessi invecchiano sempre più. La Chiesa, le Chiese qui rappresentate, noi tutti, saggiamente, sosteniamo il diritto dei piccoli nati in Italia, a riconoscere loro questa identità, fatta di cultura, di nuovi legami, di patria acquisita, di opportunità, di futuro”. E di fronte alla “sconfitta della morte tragica di migliaia di nostri fratelli e sorelle in umanità, cristiani, musulmani e di ogni credo, di ogni provenienza, sentiamo il paradosso: nell’amore di Dio, nemmeno un capello del loro capo va perduto. Lui raccoglie nella misericordia le loro vite spezzate. Lui combatte per noi la battaglia per la vita e per la resurrezione dell’umanità”. A noi, la responsabilità – ha concluso – di credere, la gioia e la fatica di amare, l’obbedienza al suo comando di costruire un tempo e un mondo, dove la speranza abbia cittadinanza piena”.

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