Il 25 giugno 1967 “si accende il satellite nei cinque continenti (26 paesi circa) con Our World, prima produzione televisiva in diretta. I Beatles, Maria Callas, Pablo Picasso, solo per citarne alcuni, entrarono così nelle case di circa settecento milioni di telespettatori con le loro produzioni e i loro racconti per circa due ore e mezza di trasmissione”. Da quel momento in poi, “la televisione introdusse – come affermò il filosofo Derrida – con più forza ‘a ogni istante nello chez moi l’altrove e il mondiale’. Ciascun telespettatore, infatti, si trovò proiettato insieme agli altri in un medesimo luogo che differisce da quello abitato permettendo ai soggetti di raggiungere in tempo reale uno spazio di suoni e immagini di cui, seppur distanti, si diviene testimoni diretti”. Nel 50° anniversario di questo primo esperimento in mondovisione, l’Aiart, associazione dei telespettatori e dei cittadini mediali, ha provato a riflettere su come è cambiato il modo di fare televisione a partire da quell’evento e, si legge in una nota dell’associazione, “come sono mutate le esperienze della visione”. Lo ha fatto attraverso la recente pubblicazione del volume “Dalla mondovisione all’endovisione. Pratiche e formati dello spazio televisivo” curato da Massimiliano Padula e Giovanni Baggio (rispettivamente presidente e vicepresidente nazionale dell’Aiart) ed edito da Ets.
“Lo studio, che inaugura la collana associativa ‘La Parabola’, raccoglie una serie di contributi che esplorano il legame tra visione e ambiti dell’esistenza indagando, altresì, i nuovi paradigmi della visione rimodulati dalla cultura digitale”. “Questa pubblicazione – spiega Padula – sarà la prima di una serie di strumenti editoriali che l’Aiart metterà a disposizione di tutti e di ciascuno per riflettere e riflettersi e per contribuire a costruire (e formare) una cittadinanza mediale cosciente e responsabile”.