Suicidio Maria Rita Logiudice: Di Bella (Trib. minori Reggio Calabria), “ampliare gli orizzonti culturali per affrancarsi dalle orme parentali”

“Abbiamo aperto una crepa nel monolite della ‘ndrangheta. Sono le donne, le mogli dei boss, che chiedono costantemente aiuto. Questo non può essere sottovalutato”. A parlare è il presidente del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, in un’intervista per il settimanale della diocesi “L’Avvenire di Calabria” in uscita domenica e anticipata dal Sir. “Paradossalmente – dice Di Bella – vengono qui e per loro rappresentiamo ‘l’ultima spiaggia’. A noi fanno confidenze che non possono fare altrove: in tante nutrono il desiderio di andare via coi loro figli, di potersi ricostruire una ‘vita normale’”. Il “mito” della ‘ndrangheta va “demistificato: è solo sofferenza. Andatelo a chiedere a chi è ‘sepolto vivo’ in carcere: è terribile”, commenta sottolineando che oggi “sotto processo ci sono i figli di coloro che ho giudicato venti anni fa. È questa l’eredità mafiosa?”, si domanda. “Quasi tutti i figli di ‘ndrangheta provano un forte senso di angoscia per sé e per i loro familiari. Noi non facciamo né deportazione di figli, né confische di minori, ma crediamo che sia necessario ampliare gli orizzonti culturali per affrancarsi dalle orme parentali”, dice rispondendo a una domanda sul suicidio di Maria Rita Logiudice, figlia di un detenuto di una famiglia mafiosa del luogo. Molte donne di mafia, le cosiddette “vedove bianche”, ossia trentenni e quarantenni, che hanno il marito condannato all’ergastolo, “sono imprigionate nei cliché delle famiglie di ‘ndrangheta”.

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