Striscia di Gaza: Oxfam, 95% della popolazione dipende dalla fornitura di acqua desalinizzata

A oltre due anni dal sanguinoso conflitto che nel 2014 distrusse buona parte del sistema idrico e fognario di Gaza, il sistema straordinario disegnato dalla comunità internazionale per la ricostruzione post-bellica (il cosiddetto Gaza Reconstruction Mechanism-Grm) non riesce ancora a rispondere ai bisogni dei quasi 2 milioni di abitanti della Striscia “intrappolati” in una delle zone più densamente popolate del mondo. È la denuncia diffusa oggi da Oxfam attraverso il rapporto “Gaza senz’acqua”. Una situazione drammatica, aggravata degli effetti del decennale blocco di Israele sulla Striscia, di cui le prime vittime sono oltre 1,8 milioni di persone che devono sopravvivere con uno scarsissimo accesso all’acqua e una situazione igienico-sanitaria in continuo peggioramento. Basti pensare che il 95% della popolazione – anche solo per bere e cucinare – dipende dall’acqua marina desalinizzata fornita dalle autocisterne private, semplicemente perché l’acqua fornita dalla rete idrica municipale (che presenta oltre 40% di perdite) non è potabile o perché oltre 40mila abitanti non sono allacciati alla rete. A questo si aggiunge un sistema fognario del tutto inadeguato con oltre un terzo delle famiglie che non è connesso al sistema delle acque reflue. Una situazione di carenza idrica di cui fanno le spese soprattutto donne e bambini, che in molti casi sono costretti a lavarsi, bere e cucinare con acqua contaminata e si trovano esposti così al rischio di diarrea, vomito e disidratazione.

“Siamo di fronte a un peggioramento esponenziale dell’emergenza idrica a Gaza – afferma Paolo Pezzati, policy advisor di Oxfam Italia per le emergenze umanitarie –. La popolazione sta facendo i conti con un sistema di ricostruzione che non riesce a superare le restrizioni generali imposte dal blocco israeliano sulla Striscia” che rallenta l’ingresso nella Striscia di materiali da costruzione “ritenuti pericolosi dalle autorità israeliane perché potenzialmente utilizzabili per scopi militari. Si tratta di circa il 70% dei materiali che servono alla ricostruzione delle infrastrutture idriche essenziali – continua Pezzati –. In sostanza, quello che era ritenuto uno strumento temporaneo e insufficiente (finanziato e sostenuto dalla comunità internazionale) è diventato un tutt’uno con la burocrazia legata al blocco tutt’ora in corso su Gaza. Il risultato è che mancano del tutto le infrastrutture essenziali, senza nessuna speranza che le condizioni migliorino a breve”. Per la maggior parte dei materiali necessari per le infrastrutture idriche – che sono ritenuti utilizzabili per scopi civili e militari dalla autorità israeliane – si deve attendere tra i 61 e i 100 giorni per il responso di idoneità e poter entrare a Gaza.

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