Morte Fabiano Antoniani: mons. Tessarollo (Chioggia), “il problema più importante sta nel ruolo degli ‘aiutanti’ a vivere o a morire”

“Quali e quanti sono gli elementi che concorrono a determinare la qualità della vita di una persona?”: con questa domanda inizia la riflessione del vescovo di Chioggia, mons. Adriano Tessarollo, sul caso di Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo, pubblicata sul numero in uscita di “Nuova Scintilla”. “Il gran parlare di questi giorni a proposito di questo problema mi pare abbia posto e continui a porre al centro il tema della libertà che ogni persona deve avere di decidere quando e come ritiene di rinunciare alla vita, valutando che non avrebbe più la qualità per cui vada la pena o possa essere vissuta – osserva il presule -. Libertà individuale, diritto all’autodeterminazione sulle decisioni che riguardano la propria vita, strutture e persone che aiutano o collaborano a rendere esecutiva da parte del soggetto tale decisione. Alla fin fine, che sia stato il dj a schiacciare con la propria bocca la pompetta che metteva in circolazione la bevanda terminale o che l’avesse premuta un altro con il suo consenso non cambiava nulla: ritengo si sia trattato di spettacolarizzazione dell’evento mortale”.

Per il vescovo, “il problema più importante, e se ne parla poco, sta nel ruolo che possono avere ‘gli aiutanti’ nell’aiutare a vivere o a morire, offrendo motivazioni di ogni ordine al soggetto per vivere o morire”. Secondo mon. Tessarollo “tutti i soggetti che stanno attorno, o si propongono di farlo” hanno “molta parte nel fare nascere la consapevolezza che la condizione fisica non è l’unico componente, e spesso neanche il principale, che può dare senso a relazioni che danno ‘qualità’ e ‘significato’ al vivere umano”.  Perciò, “quando uno decide di morire consapevolmente, significa che non ha trovato né in sé né in chi gli sta attorno motivazioni sufficienti per continuare a vivere, nonostante il forte disagio fisico in cui si è venuto a trovare”. Dunque, “rivendicare libertà della decisione è anche prendere atto che è mancato qualcos’altro che talvolta, come dice il Manzoni del coraggio, ‘uno non se lo può dare'”.

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