Somalia: mons. Bertin (Gibuti e Mogadiscio) in prima linea contro la carestia. “Dobbiamo far rinascere dalle ceneri il cristianesimo”

“In questo momento, attraverso Caritas Somalia – l’unico segno rimasto della presenza concreta della Chiesa cattolica – stiamo stringendo alleanza con Catholic relief services (la Caritas Usa) e Trocaire, l’omologa irlandese” per “provare a limitare i danni della carestia che sembra ormai inevitabile”. A parlare da Hargeisa, nel Somaliland, stato a nord della Somalia, è monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, contattato telefonicamente dal settimanale diocesano di Padova La Difesa del Popolo. Sono almeno 110 le persone morte di fame in sole quarantotto ore nella regione sud occidentale somala del Bay. Oltre alla scarsità di cibo, l’emergenza idrica sta causando anche epidemie di colera e di morbillo. Secondo l’Unicef, a causa della siccità e della carestia, sono 1,4 milioni i bambini in pericolo di vita tra Somalia, Nigeria, Sud Sudan e Yemen. “La situazione è particolarmente severa in alcune aree del Paese, in particolare nel Puntland”, sottolinea mons. Bertin. Impossibile un calcolo preciso delle conseguenze nel Sud, a causa della situazione di grande instabilità e insicurezza dovuta alla presenza di Al-Shabaab, il braccio somalo di Al-Qaeda. “Il vero problema della Somalia è proprio questo – certifica il vescovo –. In questi anni, in moltissimi si sono rifugiati nei campi per sfollati in Kenya, Etiopia e Yemen”. Da qualche settimana però c’è un nuovo presidente della repubblica, Mohammed Abdullahi Mohammed detto Farmajo. “Sta componendo il governo con il favore della popolazione e della comunità internazionale e contro gli Shabaab”, osserva Bertin. “Stiamo a vedere”.

Il governo di Mohammed potrebbe ristabilire un margine di sicurezza nella parte meridionale del Paese, e permettere la riapertura di una chiesa cattolica a Mogadiscio, dove manca dal 1991. “A differenza di Gibuti, dove la Chiesa è riconosciuta e ogni giorno accogliamo 2.700 alunni nelle nostre richiestissime dodici scuole cattoliche, in Somalia questo è il tempo della semina e della speranza. Dobbiamo lavorare per far rinascere dalle ceneri il cristianesimo, sapendo che i risultati arriveranno in tempi lunghi”. Accanto a mons. Bertin ci sono cinque sacerdoti provenienti da Nuova Zelanda, Brasile, Stati Uniti, India e Camerun oltre a cinque congregazioni di suore per un totale di 27 religiose. Ad Hardeisa, lo scorso anno è stata riaperta la chiesa dedicata a sant’Antonio di Padova.

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