Giustizia riparativa: Agnese Moro, “aiuta a curare le ferite che il male esercitato o subito lascia dietro di sé”

“Tutti abbiamo qualche cosa da perdonare e qualcos’altro da farci perdonare. Forse per questo il tema del perdono è sempre pieno di fascino, suscita interesse, voglia di discuterne, ma è anche fonte di grossi fraintendimenti”. È quanto afferma Agnese Moro, terzogenita dello statista assassinato dalla Brigate Rosse, in un intervento pubblicato sull’ultimo numero del settimanale diocesano cremonese “La Vita Cattolica”. “Per la mia esperienza i fraintendimenti più frequenti sono tre. Il primo – spiega la figlia di Moro – riguarda l’idea che si perdoni per fare un piacere agli altri, ai cattivi; che lo facciano i buoni con un atto di generosità”. “In realtà il perdono va a vantaggio di chi lo dà, infinitamente più che a vantaggio di chi lo riceve” perché, osserva, “quando si subisce un torto si resta prigionieri di sentimenti fortissimi e terribili come rancore, rabbia, odio”. “Perdonare, poi, non è un sentimento, un moto dell’anima”, aggiunge, parlando del secondo fraintendimento. Perdonare “è la decisione di rompere con la giostra dell’odio e della dittatura del passato che ne consegue. È una scelta; è un dire ‘basta’ ai pensieri di sempre”. “Il terzo fraintendimento – continua Agnese Moro – vede il perdono come un colpo di spugna”. “Non è così”, assicura, sottolineando che “ciò che è stato fatto di sbagliato, di offensivo, di crudele rimane tale. Semplicemente lo ferma”. Agnese Moro racconta poi che “parte integrante del tornare a vivere è ricercare l’umanità di chi ci ha ferito”. “Incontrarlo, potergli chiedere conto, capire le ragioni di ciò che è avvenuto – senza giustificarlo – è quanto ci permette di fare quella ‘giustizia riparativa’ che si affianca oggi a quella ordinaria per aiutare, con persone competenti, formate e di profonda umanità, a curare le ferite che il male esercitato o subito lascia dietro di sé”. “Una piccola, importante rinascita”, conclude.

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