“A suscitare amarezza e disorientamento è la carica ideologica che pervade certe sentenze, nella prospettiva di un pressing giudiziario (e culturale) che rischia di diventare – o forse è già diventata – dittatura culturale”, scrive l’editorialista Luciano Moia commentando oggi su “Avvenire” la sentenza di Firenze con cui ieri il tribunale dei minori ha riconosciuto la validità di un’adozione gay. “La doppia adozione gay decisa ieri a Firenze – spiega Moia -, che segue di pochi giorni il caso Trento e a una ventina di pronunciamenti favorevoli alla genitorialità omosessuale nell’ultimo triennio, non possono che confermare l’esistenza di un obiettivo purtroppo ben definito”. Obiettivo che va nel senso di rendere l’adozione ordinaria “che oggi la legge italiana permette solo a coppie eterosessuali sposate da almeno un triennio”, anche “a coppie dello stesso sesso, in nome di un mutato (e non meglio definito) clima culturale”. Nonostante giuristi, psicologici, responsabili di enti e associazioni “in più occasioni” abbiano “avanzato riserve sull’opportunità di cancellare dall’orizzonte simbolico e reale dei bambini la presenza di una mamma e un papà”, questi non vengono ascoltati dalla politica. Invece, la Commissione giustizia della Camera, “che ha realizzato l’indagine conoscitiva sulle adozioni – di cui proprio ieri, guarda caso, è stato approvato il documento finale – ha evidentemente prestato la massima attenzione nella scelta delle persone da ‘audire'”. Così, nota il commento, “quegli esperti, in larghissima maggioranza, hanno fornito proprio il parere che quella parte della politica intendeva raccogliere e rilanciare”, ovvero che “non c’è più motivo per ostacolare l’adozione non solo a coppie, ma anche a single omosessuali”. Per questo motivo, conclude Moia, “non sembra casuale” il “combinato disposto tra la volontà espressa da parte di quella che si annuncia come una maggioranza parlamentare e la raffica di sentenze” promulgate nello stesso periodo.