Card. Bagnasco: a messa per don Giussani, “essere pungolo dei nostri fratelli perché la coscienza non si addormenti”

“Don Giussani ci ricordava una realtà fondamentale: la povertà ontologica, di ordine metafisico”, una povertà che “non è congiunturale ma radicale”. È ciò che “chiamiamo limite e che la cultura moderna – ne abbiamo nuova pagine ogni giorno, anche oggi – vuole negare, superare, per non riconoscersi creatura, per non riconoscersi un dono”. Ad affermarlo il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, che ieri sera ha celebrato una messa per ricordare i “12 anni del dies natalis di Don Giussani e i 35 dal riconoscimento di questo cammino fraterno”. “Ognuno di noi – ha detto il porporato – è un dono, non si è costruito da sé, e in questo accoglierci dalle mani dell’altro sta la nostra vocazione, la nostra consistenza perché fuori da questo legame, da questa dipendenza, nessuno di noi esiste, né sul piano dell’essere, né sul piano dell’autocomprensione”. Infatti, “non ci siamo fatti noi, né nella nostra origine, né nello sviluppo della nostra esistenza terrena, né nell’incontro con la porta solenne, nobile, della morte”. Per questo, “la povertà radicale non è sventura, ma grazia” e “dimenticare questa povertà profonda significa vivere male e sbagliare la vita”. Ai fedeli presenti, il cardinale ha poi ricordato che “siamo chiamati a porci in questa ora del mondo come un pungolo dei nostri fratelli e delle nostre sorelle perché la coscienza non si addormenti, come si sta addormentando, perché non entri nel gioco facile, ma mortale, della tiepidezza e del compromesso, per cui tutto e il suo contrario è possibile, dove le linee di confine sono viste con opacità dove la differenza tra il bene e il male sembra ormai cancellata, dove la coscienza della verità sembrano tempo perso”.

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