Morte dj Fabo in Svizzera: Savagnone (filosofo), “è la vita il valore da affermare. Non la morte”

“Nel circuito mediatico-politico, in cui tutte le forme di pudore sono sistematicamente travolte dalla logica dello spettacolo, anche questa dolorosa fine è diventata, prima ancora di verificarsi, una notizia, un evento pubblicizzato a gran voce su tutti i mezzi di comunicazione e strumentalizzato ideologicamente per sostenere una tesi precostituita, la legittimità del suicidio assistito e, in ultima istanza (perché è a questo che esplicitamente si tende), dell’eutanasia”, così Giuseppe Savagnone commenta su “Avvenire” la strumentalizzazione mediatica della sofferenza e della fine di Fabiano Antoniani.
Esaminando i “toni indignati che traboccano dai titoli e dalle argomentazioni di diversi giornali”, Savagnone sottolinea che “in essi si insiste con incredula costernazione, sul fatto che il nostro Paese è rimasto l’unico, del ‘civile Occidente’, a giudicare illecita l’interruzione artificiale della vita di una persona, probabilmente – si dice – per il persistere di una tradizione di matrice cattolica”. Ma, riflette il filosofo, l’Italia è rimasta anche “l’unica a non alzare muri per bloccare l’ingresso dei migranti e a continuare a spendere soldi per cercare di salvare vite umane dalla morte per annegamento. Sono davvero sicuri quegli opinionisti e quei politici che l’essere rimasti gli unici a fare queste scelte (entrambe volte all’estrema difesa della vita) sia una prova di inciviltà?”. Inoltre, constata Savagnone, “per legittimare e trasformare in teorema quello che ai nostri occhi è innanzi tutto il dramma dell’uomo Fabo si citano, a sproposito, i casi di Welby e di Eluana Englaro”. Nella discussione sulle Dat, è necessario “un leale confronto delle opinioni” da cui nascono le decisioni e, sottolinea, di opinioni ve ne sono “dall’una e dall’altra parte, che meritano di essere prese in considerazione”. Ma “quelle che abbiamo appena esaminato non rientrano in questa categoria. Sono solo chiasso, volto a frastornare e suggestionare l’uomo della strada”. Si tratta, conclude Savagnone, “di una questione oggettivamente problematica, da affrontare senza preventive demonizzazioni di chi non la pensa come noi e avendo ben chiaro che è la vita il valore da affermare e da difendere e non la morte. Uno stile che costituirebbe una buona pratica di rispetto, ormai divenuta rara, verso i vivi, oltre che verso i morti”.

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