Pastorale giovanile: Scardicchio (pedagogista), educatore “non coltivi l’immagine di invincibile”

Bologna, 20-23 febbraio 2017: XV Convegno nazionale di Pastorale Giovanile. (Siciliani-Gennari/SIR)

(dall’inviato Sir a Bologna) “Ciò che rende l’educatore credibile e autentico è la capacità di mettersi al cospetto della sua storia personale, anche del suo inferno, della sua esperienza così da poter stare davanti a chi gli viene affidato. È l’esperienza che educa. Riconoscere le proprie ferite aiuta a essere credibili”. Dunque “non coltivare l’immagine di invincibile. È la fragilità che trasforma l’incompetenza in competenza”. È la provocazione lanciata oggi da Antonia Chiara Scardicchio, docente e ricercatrice in pedagogia sperimentale presso l’università di Foggia, agli oltre 700 incaricati di pastorale giovanile convenuti a Bologna (fino al 23) per il loro XV convegno nazionale dedicato al tema “La cura e l’attesa”. “Per essere educatore non basta la buona volontà, un afflato generoso, del metodo. Occorre anche correlare in maniera continua lo studio e la formazione con il lavoro su se stesso. Formazione, professionalità, informazione non sono sufficienti senza un lavoro interiore. Non è per tutti essere educatori” ha spiegato la ricercatrice che poi, a margine del suo intervento, ha toccato, per il Sir, il tema del rapporto tra scuola e famiglia: “Oggi le famiglie vivono la scuola come nemica. Un tempo i giovani genitori stavano in un sistema familiare che li custodiva. Oggi non è più così e nessuno può essere genitore da solo. C’è una forma di famiglia che si chiude in se stessa e spezza i legami. Ciò accade quando i genitori dicono ai loro figli che solo dentro la famiglia sono al sicuro e che non devono fidarsi di alcun altro. Purtroppo così facendo insegniamo ai nostri figli che sono tutti nemici e togliamo loro la possibilità di comunicare”. Accade così che “siamo troppo concentrati su ciò che dovrebbero fare che su quello che vogliamo dire ai nostri figli. Dimentichiamo di chiedere ai ragazzi come stanno e perché fanno certe cose. Come educatori – ha concluso Scardicchio – dobbiamo capire i bisogni che muovono i giovani, fare domande ma non in senso inquisitorio”.

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