Diocesi: mons. Castellucci (Modena-Nonantola), “affrontare il male che affligge le persone con un gioco di squadra”

“Preghiamo san Geminiano perché continui tra di noi la collaborazione, per combattere il male mascherato da bene ed essere di aiuto a chi è svantaggiato nel corpo e nello spirito”. È l’invocazione rivolta ieri dall’arcivescovo di Modena-Nonantola, monsignor Erio Castellucci, in occasione della solennità del patrono san Geminiano. “Gesù predicava il regno e curava le malattie, come se fossero due aspetti di una stessa missione”, ha affermato Castellucci nell’omelia, osservando che “per lui non esiste una predicazione fatta di sole parole, ma la predicazione deve essere sempre incarnata nei fatti, si deve tradurre in azioni concrete di risanamento”. E la Chiesa, ha proseguito, “fin dall’inizio, ha fondato il legame tra le opere di misericordia spirituale e corporale, dedicando la stessa attenzione all’aiuto verso l’affamato e verso l’afflitto, alla visita ai carcerati e al perdono delle offese, alla cura verso i poveri e all’educazione dei piccoli”. Per Castellucci, “san Geminiano ha raccolto pienamente il mandato di Gesù, vivendo il suo ministero come lotta contro gli spiriti immondi, le malattie e le infermità”. “Ne è un esempio la formella dell’architrave della Porta dei Principi, nel nostro Duomo, in cui Geminiano guarisce dalla possessione del demonio la figlia dell’imperatore”, ha sottolineato l’arcivescovo, ricordando che, come successe per il predecessore Antonino, “furono i vescovi che lasciarono un’impronta particolarmente incisiva nella città” perché “nell’impero ormai decadente, rivestirono funzioni non solo spirituali, ma anche civili”. “In un certo senso – ha notato Castellucci – successore di san Geminiano non è solo il vescovo di Modena, ma anche le istituzioni statali, civili e militari”. “Tutti infatti siamo impegnati per combattere il male e risollevare la vita delle persone”, ha spiegato l’arcivescovo, sottolineando che “la divisione delle competenze, che si è realizzata nei secoli, non deve far dimenticare che la persona è sempre e ancora una realtà unitaria e che il male da cui spesso è afflitta va affrontato, da chi ne ha l’autorità, con un gioco di squadra”.

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