Pena di morte: Gusmao (Timor Est), “società che condanna a morire identifica giustizia con vendetta”

“Dopo l’indipendenza abbiamo visto che i sacrifici del nostro popolo non sono stati invano. Abbiamo dovuto mettere da parte odio e desiderio di vendetta; non possiamo accettare che la vita venga minata alla base a causa di precetti religiosi, dottrine politiche o altre ragioni”. A prendere la parola al X Incontro internazionale dei ministri della Giustizia per “Un mondo senza pena di morte”, promosso a Roma, presso la Camera dei deputati, da Comunità di Sant’Egidio, ministero degli Affari esteri e Confederazione svizzera, è Xanana Gusmao, presidente emerito di Timor Est, con un’appassionata testimonianza. “Una società che condanna qualcuno a morire – afferma – crede che la giustizia sia una forma di vendetta, ma una società deve capire che a volte il male viene da dentro quando il concetto di giustizia e vendetta si sovrappongono”. Molti sistemi giudiziari, prosegue, “vedono un condannato a morte come ai margini della società, come se cessasse di essere un cittadino. Dobbiamo invece esercitare una forma di umanesimo e vedere il nostro volto in quello della persona condannata a morte che di fatto è uno di noi. Dopo un crimine, la decisione che riguarda la vittima e la società non può essere separata da un piano che cerchi di recuperare e se possibile reintegrare chi ha commesso il reato”. Timor Est, sottolinea Gusmao, “è un Paese giovane ma fragile, con molte sfide da affrontare. Abbiamo prodotto un quadro giuridico che riconosca i diritti umani e un sistema giudiziario che garantisca equità”, tuttavia è innegabile la “fragilità del sistema giudiziario che può portare ad errori”. “Uniamoci alla Comunità di Sant’Egidio nel promuovere la moratoria universale della pena di morte”, il suo invito conclusivo.

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