Fine vita: don Angelelli (Cei), “illusoria l’ipotesi che si possano normare per legge situazioni che per se stesse sfuggono al desiderio di uniformazione”

“Considero illusoria l’ipotesi che si possano normare per legge situazioni che per se stesse, data l’ unicità di ogni uomo, sfuggono al desiderio di uniformazione. Solo il recupero di una piena alleanza terapeutica, che comprenda paziente, famiglia, medici, sanitari e altre figure come l’assistente spirituale, potrà ricreare quel clima di fiducia in cui maturano le scelte per il bene integrale della persona”. Lo afferma don Massimo Angelelli, nuovo direttore dell’Ufficio per la pastorale della salute della Cei, in un’intervista pubblicata oggi da Avvenire. Secondo il sacerdote, “la proporzionalità delle cure è un ambito complesso e sfumato, perché si può valutare solo caso per caso, sulla base di oggettivi fattori clinici e soggettivi fattori personali del paziente”. “In medicina – aggiunge – esistono protocolli terapeutici condivisi, ma solo il medico, con la sua équipe, in accordo con il paziente, ne può valutare la proporzionalità”. “Non tutto ciò che è possibile è lecito farlo”, prosegue don Angelelli, secondo cui “l’ultima parola sull’opportunità di compiere un gesto è frutto di un dialogo tra la retta coscienza dell’uomo (il medico, il paziente, i suoi familiari) e il bene integrale della persona malata”. “Solo attraverso questa composizione – nota – sapremo orientare al meglio ogni nuova conquista scientifica”. Don Angelelli parla poi del sistema sanitario italiano universalistico che “si sta deteriorando a causa di fattori esterni che ne minano il funzionamento. Sprechi e corruzione drenano risorse che dovrebbero essere destinate al bene dei cittadini”. “La sanità in Italia – evidenzia – ha bisogno di essere curata da queste patologie, altrimenti la sua efficacia verrà compromessa”. Inoltre “servono misure per la correzione della ‘medicina difensiva’, che secondo il ministero della Salute (2015) pesa per 8-9 miliardi di euro l’anno”. “Risorse immense, che vanno liberate per assicurare un accesso più equo alle cure, ai farmaci e una migliore qualità dei servizi, oltre a poter essere investiti nella sperimentazione e nella formazione dei giovani ricercatori”. Don Angelelli aggiunge poi che “la prossimità responsabile indicata dal Papa ci ricorda che nessuna persona, tanto più nel momento della fragilità, può essere mai abbandonata”. Anche per questo i medici dovranno essere capaci di “empatizzare con il paziente”.

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