Migrazioni: don Ciotti (Libera), “non è reato l’immigrazione perché non è reato la speranza”

“Non è reato l’immigrazione perché non è reato la speranza. La speranza è un diritto, ma è anche l’orizzonte di una politica seriamente impegnata nella promozione del bene comune. Oggi ci troviamo invece a fare i conti con un sistema che garantisce il privilegio di pochi e toglie la speranza a tutti gli altri”. Ad affermarlo è don Luigi Ciotti, presidente Libera e Gruppo Abele, in merito alla manifestazione contro il razzismo promossa da Associazioni e Ong che si svolge oggi a Roma. Rimarca il sacerdote: “le speranze negate oggi sono le stesse che hanno ispirato la nostra Costituzione, la Dichiarazione universali dei diritti umani, la Convenzione sui rifugiati del ‘51 e tutte quelle carte che si sono solennemente impegnate a eliminare la guerra, l’odio, la povertà, le ingiustizie. Abbiamo tradito i nostri impegni e le nostre radici, e da quelle dobbiamo umilmente ripartire se non vogliamo perdere, oltre che la speranza, la dignità”. Da qui l’auspicio che dalla politica arrivino “lungimiranza e coraggio di guardare oltre le contingenze, gli opportunismi, i populismi. Temi come l’immigrazione – sottolinea don Ciotti – sono questioni di civiltà, non materia di sondaggi e previsioni elettorali. Ben venga allora l’impegno per lo ius soli e lo ius culturae, o quello di smantellare i più grandi tra i cosiddetti “Cara” e realizzare strutture più piccole, accoglienti e dignitose. Ma alle parole seguano i fatti- prosegue – e i fatti testimonino un reale cambiamento di marcia e di prospettiva, non accordi indecenti con regimi a cui delegare il contenimento dell’immigrazione, Paesi dove non esiste il rispetto dei diritti umani e dove il dissenso e la diversità vengono repressi con la violenza e la tortura”. “La distinzione fra rifugiati e migranti economici è un esercizio retorico e ipocrita perché è sempre più evidente il nesso tra le guerre e gli interessi economici – dichiara il presidente di Libera – Si combatte per il possesso di preziose materie prime come il petrolio, si combatterà, se non cambiano le cose, anche per quello di beni essenziali come l’acqua. Per non parlare di come le guerre fanno da volano per la produzione e il commercio di armi. Ma è l’economia stessa, ormai, a essere diventata uno strumento di guerra. E il nemico è il più incolpevole e indifeso dei popoli: i poveri. Solo ridando dignità ai poveri, ai migranti, agli esclusi – cioè lavoro, diritti, responsabilità – possiamo costruire un futuro di pace e di benessere”.

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