Chiesa e disabili: mons. Comensoli (Broken Bay), “nessuno è esente dalla chiamata a partecipare alla vita di Cristo”

“Vivendo la nostra condizione umana, qualunque essa sia, siamo aperti alla fede. Ciò non dipende dai nostri successi o dalle nostre capacità. Sacramentalmente conta che noi siamo umani, non come siamo umani”. Lo ha detto questa mattina mons. Peter Comensoli, vescovo di Broken Bay, in Australia, nel suo intervento al convegno internazionale “Catechesi e persone con disabilità: un’attenzione necessaria nella vita quotidiana della Chiesa”, in corso a Roma. Il teologo ha preso in esame la condizione delle persone che presentano facoltà cognitive compromesse e la loro vita sacramentale. “Queste persone vivono agli estremi della condizione umana a causa di un forte blocco cognitivo, neurologico o dello sviluppo. Le facoltà della ragione, della volontà e della consapevolezza di sé sono intaccate o assolutamente assenti”. Quindi, in queste condizioni “la fede, che comporta l’esercizio della ragione e della volontà e richiede un atto di consapevolezza, può essere viva?”, si è chiesto il presule. O meglio, “queste persone, che non hanno la capacità di ricevere la fede linguisticamente, sono escluse dalla fede sacramentale?”. “La nostra pratica pastorale indica diversamente – ha risposto mons. Comensoli -. I neonati sono battezzati e confermati; le persone con degenerazione neurologica avanzata ricevono la comunione, chi è in coma viene assolto”. Il vescovo ha quindi spiegato che “la loro è un’umanità graziata, che non dipende dalla nostra condizione umana. Nessuno è esente dalla chiamata a partecipare alla vita di Cristo”. Piuttosto, queste persone “possono essere considerate assistenti di una catechesi sacramentale nella fede, perché partecipano – in modo ordinario – alla vita di Cristo”.

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