Messico: a un mese dal terremoto. Padre Narváez (Caritas), “bilancio ufficiale di 345 vittime non ancora definitivo”

È trascorso un mese dal terremoto che ha colpito il centro del Messico e la sua capitale (era infatti il 19 settembre, vero sera ora italiana). Un evento che ha fatto seguito al precedente sisma del 7 settembre, che ha avuto il suo epicentro nell’oceano Pacifico e al passaggio, sempre nelle stesse settimane, di due uragani tropicali Lidia (nel nordovest del Paese) e Katia (che ha invece colpito le coste orientali). Un concentrato di calamità cui la Caritas messicana ha cercato di far fronte con tutte le forze, come spiega al Sir padre Rogelio Narváez, segretario esecutivo della pastorale sociale – Caritas della Chiesa messicana, facendo il punto della situazione, ricordando anche l’incredibile numero di scosse di assestamento oltre 8mila per il terremoto del 7 settembre, oltre 2.000 per quello del 19 settembre, con picchi oltre il sesto grado Richter. “A quasi due mesi di distanza dalle prime calamità naturali – ci dice – sono ancora tante le famiglie che vivono nei centri di accoglienza o negli alberghi, avendo sempre vivo il timore, come dicono loro, che il mare invada la terra”. Ma la prova più grande è stata appunto il sisma del 19 settembre.
Ad un mese di distanza si inizia a tracciare un bilancio delle vittime e dei danni. Il coordinatore nazionale di protezione civile, Luis Felipe Puente, lo scorso 28 settembre, ha fornito un bilancio ufficiale di 345 morti, così suddivisi: 206 a Città del Messico, 74 nel Morelos, 45 nello stato di Puebla, 13 nello stato di México e uno in Oaxaca. “Però – spiega padre Narváez – a Città del Messico girano anche altre storie e altri numeri e, ad esempio, non sono state conteggiate le 16 vittime del Chiapas. Sarà difficile arrivare ad una cifra veramente attendibile”. Impressionante la gara di solidarietà tra le diocesi messicane; aiuti sono giunti da tutto il mondo. Nelle varie collette la Caritas messicana ha finora raccolto 14 milioni di pesos. La Caritas sta intervenendo con progetti mirati “sul posto”, soprattutto nelle diocesi più isolate e meno seguite, come quella di Tapachula, ai confini con il Guatemala: “In molte zone sembra che ci sia stata una guerra, è tutto distrutto”, dice il segretario della Caritas.

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